“Come sono morti i
nostri militari disarmati?” s’interroga vigorosamente più di una testata indiana. La
domanda è diretta al primo ministro Modi, che subisce anche le critiche di
generali e dell’ex consigliere alla sicurezza nazionale Shivshankar Menon che
ha grande visibilità interna. Quest’ultimo in un’intervista ha apertamente
accusato il premier di “inappropriato e
inaccurato annuncio che concede territori e spazi di aggressività ai cinesi”. Insomma nonostante il
governo abbia ribadito la volontà di rintuzzare ogni provocatoria ingerenza del
potente vicino, c’è chi sfida Modi sulla via del patriottismo e del
nazionalismo. Poiché dopo le botte letali, i generali dei due Paesi hanno
aperto un confronto e da parte cinese si cerca di sgonfiare il caso, il governo
di Delhi è stretto in una morsa. Deve tenere in piedi la trattativa, ma anche adeguarsi
alle piazze infiammate della capitale e di Mumbai dove la xenofobia anticinese
ha assunto toni preoccupanti verso consolati e rappresentanze commerciali che
rischiano di finire bruciate come le immagini di Xi Jinping. A soffiare sul
fuoco sono sopraggiunte le foto inserite da un ufficiale indiano su una
piattaforma social dei corpi contundenti, tubi di metallo chiodati, con cui i soldati
cinesi avrebbero ferito a morte i colleghi indiani.
Fra chi cerca la vendetta sul pietroso territorio della valle
Galwan, in genere i miliziani fondamentalisti del Bharatiya Janata Party e dell’ancor
più estremista Rashtriya Swayamsevak Sangh, fra una parte degli ufficiali sostenitori
d’un ritorno alle regole d’ingaggio precedenti l’accordo del 1996 (comunque mal
digerito da entrambi i contendenti) c’è da capire come si comporterà il capo
del governo. L’ultimo venticinquennio ha prodotto solo aumenti di truppe, si è
evitato lo scontro a fuoco e finanche il fronteggiamento armato, eppure lo
scontro a mani nude e armi improprie di questa settimana non ha smorzato i
pericoli. Il sangue caldo indiano trova comunque una mente più fredda e acuta
nello staff di Modi che starebbe preparando un colpo economico al nemico che ha
sparso sangue hindu. Voci insistenti sostengono che Delhi taglierà molte
commesse cinesi. Queste in diciotto anni sono aumentate dai tre miliardi di
dollari del 2000 ai circa cento miliardi del 2018. Il 2019, ben prima della
pandemia, aveva visto una frenata anche nell’affarismo asiatico, ma aveva pur
sempre segnato sessanta miliardi di dollari a vantaggio di Pechino. Ecco: l’arma
avvelenata di Modi all’affronto mortale delle ‘guardie rosse’ dovrebbe colpire
il bilancio delle entrate cinesi. Poi si vedrà in che misura ricucire i
rapporti geostrategici e geoeconomici.
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