In India le difficoltà della pandemia non sembrano intaccare
la popolarità del premier Modi. Un sondaggio nazionale, del quale la stessa opposizione
ha dovuto riconoscere la validità, conferisce al leader del partito hindu oltre
l’80% di gradimento, un indice addirittura superiore a quello che l’aveva
lanciato ai vertici della politica nazionale nel 2014. Alcuni commentatori
locali sostengono sia l’afflato del momento di difficoltà, un effetto
psicologico di ricerca di protezione da parte di ogni strato della popolazione in
una fase in cui cresce la paura di presente e futuro. Uno sbandamento che
oscilla fra l’epidemia di Covid-19 tuttora montante e lo squilibrio economico
creato dalla chiusura per tutti, sia i lavoratori ufficiali e garantiti nella
sfera statale e parzialmente in quella privata, sia per il precariato della
microeconomia quotidiana, che comunque dà sussistenza a centinaia di milioni di
persone. Così le figure istituzionali vengono investite di capacità
taumaturgiche, in tanti casi con una specie di devozione superstiziosa, oppure vengono
demonizzate. Una minoranza di ex lavoratori accusa l’esecutivo del Bjp di
cattiva gestione dell’emergenza, riferendosi all’assenza d’iniziali indicazioni
chiare, alle decisioni perentorie senza preavviso che, ad esempio, hanno creato
il caos dell’impossibilità di rientro nelle zone d’origine per i migranti
interni. Da lì le trasmigrazioni per centinaia di miglia pur senza mezzi di
trasporto e gli incidenti mortali causati da questo fenomeno. Fino a ricordare,
sono soprattutto i musulmani a farlo, le violenze subìte da polizia e da
fanatici hindu, che indiscriminatamente li accusavano d’essere i diffusori del
Coronavirus.
Una posizione tuttora sostenuta, che ha viaggiato sui
media, prendendo spunto dall’episodio di un effettivo focolaio infettivo
sviluppatosi all’interno della confraternita Tablighi Jammat a Delhi nel mese di marzo (a seguito d’un raduno criticato
e censurato da altri movimenti musulmani) che ha, comunque, alimentato successive
e reiterate aggressioni fisiche nei quartieri islamici della capitale e in
altre località, con decine di morti e migliaia di feriti. Tali violenze sono
state stigmatizzate dal premier, più paternalisticamente che politicamente,
anche perché taluni suoi ministri (Interni e Istruzione) sono espliciti fautori
della canea montante contro gli islamici, e i provvedimenti del governo negli
ultimi due anni hanno incarnato un’escalation di fondamentalismo, razzismo,
apartheid. Eppure nelle sue pose quasi ieratiche Modi veste i panni del ‘pacificatore’
nazionale, soprattutto nelle apparizioni pubbliche e televisive quando lancia
discorsi sul bene collettivo, alla faccia di caste e discriminazioni etniche e
sociali. E tra molti cittadini, ormai senza occupazione, si diffonde l’idea che
il governo non possa aver colpe sulla crisi economica scaturita dalla pandemia.
C’è chi sostiene che il lockdown sia diventato una tragica necessità ovunque, e
pur non riconoscendosi politicamente come elettore di Modi non se la sente di
accusarlo delle conseguenze pur catastrofiche del Covid-19. La recessione e le
criticità sono ovunque nel mondo.
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