L’India vive un lockdown lungo finora novanta giorni nei suoi trentadue
Stati. Certo in tantissimi luoghi, e non necessariamente nelle megalopoli,
confinamento non fa il paio col distanziamento, sia perché risulta impossibile
in tanti condomini di Delhi e di Mumbai come pure nelle precarie baraccopoli di
periferie urbane e di villaggi rurali. In tal modo il Paese si barcamena fra
un’epidemia che non registra regressi e il bisogno primario alimentare che
travalica anche la necessità di lavoro. Ovviamente per i più le due ultime
questioni s’inseguono: chi non può lavorare non mangia e non riesce a sostenere
famiglie assai numerose. Gli iniziali 23 miliardi di dollari investiti dal
governo per far fronte alla pandemia della povertà, potevano valere per il
primo mese di chiusura non per il secondo e il terzo. Perciò l’India fa i conti
col duplice fronte infettivo e sotto occupazionale che mette in ginocchio
decine di milioni di persone e preoccupa l’establishment. Al vertice della
crisi, un vertice amplissimo, si collocano gli ex esecutori dei tanti impieghi
precari che si svolgono prevalentemente nel cuore delle metropoli - micro
commerci e micro impieghi, dai trasportatori di cibo ai conducenti dei rickshaw
- ma anche i lavori in nero dell’edilizia, dell’agricoltura, in gran parte
pendolari fra i distretti più popolosi e bisognosi (Uttar Pradesh e Bihar) e il
resto della nazione.
La fuga verso i villaggi d’origine svolta soprattutto ad
aprile, quando dopo un mese di blocco e di distribuzione di cibo ai poveri, non
si vedeva alcuna soluzione all’orizzonte, hanno prodotto tragici incidenti.
Avvenuti durante le trasmigrazioni interne, compiute a piedi da milioni di
cittadini per decine e decine di chilometri, vista l’assenza di trasporti
pubblici. C’è chi è morto per via, cercando una via di salvezza. Ucciso da fame
e sete, come in un ipotetico deserto, oppure tranciato sulle rotaie da treni
che non dovevano passare e a un tratto si materializzavano. Caos e disorganizzazione,
con l’aggiunta di chi ha soffiato sul fuoco del fondamentalismo politico
cercando capri espiatori fra etnìe e confessioni, nonostante il tragico momento
internazionale. Solo da poco il governo di Narendra Modi, pur ribadendo il
proseguimento delle chiusure, ha ristabilito trasporti su gomma e ferro rivolti
esclusivamente agli spostamenti interni per i pendolari del lavoro, rimasti
senza lavoro. Una decisione estremamente tardiva che sta creando nuove tensioni
nelle regioni raggiunti da questi cittadini che se non hanno in esse parenti
assai stretti ai quali unirsi, vengono osteggiati dai locali timorosi d’essere
infettati dal coronavirus dalla massa che giunge da metropoli dove i focolai
pandemici sono accesissimi. I numeri, che la Comunità internazionale considera
comunque parziali e sottostimati, pongono l’India al quarto posto fra le
nazioni colpite nel mondo. Trecentoventunomila infettati e novemiladuecento
decessi.
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