C’è un ardente compiacimento
propagandistico-patriottico, e ovviamente aziendal-tecnologico, nell’odierno
articolo sul più filoamericano fra i quotidiani italiani: La Repubblica diretta da Maurizio Molinari. Dalla servitù militare
Nato di Perdasdefogu, presso il poligono di addestramento di Salto di Quirra,
in provincia di Nuoro, l’inviato lancia un reportage che decanta le meraviglie
del bimotore C-27 Jedi (Jamming
Electronic Defense Instrumentation) uno dei protagonisti della guerra
elettronica utilizzato a sostegno di quelle che, da almeno due decenni, vengono
etichettate come “missioni di pace”. L’articolo riepiloga minuziosamente le
qualità del velivolo capace d’interdire le frequenze usate da miliziani d’ogni
tendenza - ultimamente i restanti jihadisti dell’Isis, un tempo i taliban - cui
l’aereo impedisce contatti radio e la possibilità d’usare le frequenze per
attivare ordigni esplosivi a distanza. Una guerra elettronica dal cielo che
disarma le capacità di fuoco nemiche, soprattutto se quest’ultimo non è dotato
di sistemi simili… Invitando all’amena lettura lasciamo ai più avidi di scenari
d’impari guerra i passaggi che descrivono come “i ‘Lupi’ gli aviatori del 98° gruppo di Pisa e i ‘Corvi’, gestori dell’apparati
elettronici” s’integrano nell’esercitazione alla guerra buona, quella
intenzionata a disarticolare il nemico senza colpo ferire, impedendogli di far
male. Sugli schermi s’avvia un “bombardamento
invisibile che si trasforma in istogrammi… Uno tsunami elettronico di onde blu
che travolgono la linea rossa del segnale avversario, fino a spezzarlo” . E
vai!!! Quindi il cronista-soldato Di Feo (autore del reportage) ricorda che in
Afghanistan il Jedi ha compiuto tante operazioni di tal fatta. Sul sito del nostro
Ministero della Difesa viene ricordato
il momento della sua dismissione (https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_int_concluse/ISAF/notizie_teatro/Pagine/Afghanistan_C27JJEDI_rientra_Italia.aspx).
Era il 2014, Jedi aveva lavorato per due anni interi, 800
missioni Isaf per 2800 ore di volo, condotte a supporto dell’aviazione
statunitense che prima di sancire, con la seconda amministrazione Obama un
graduale disimpegno bellico, bombardava, con ordigni veri, intere aree abitate
da civili. Quando le vittime afghane, e non i miliziani talebani, diventavano
ingombranti sui calcoli compiuti dagli stessi organismi delle Nazioni Unite,
come l’Unama, il Pentagono e poi la Casa Bianca emanavano dispacci che
parlavano di “danni collaterali” e in qualche circostanza d’errore umano,
peraltro mai indagato né perseguito da nessun Tribunale, all’Aja o altrove,
interessato a crimini di guerra. Certo possiamo immaginare che, fra i professionisti
della guerra buona, bloccare le armi nemiche insinua se non proprio ragioni
umanitarie, sicuramente pochi sensi di colpa. Niente a che vedere col
ruolo dell’impiegato della morte, che
dalla sua postazione su un pc sito in Virginia o in una base aerea, magari più
esposta perché lontana decine di migliaia di miglia da casa, chessò a Bagram o
Jalalabad, clicca sulla tastiera dando l’input ai missili piazzati sui droni
che svolazzano al posto degli aquiloni. Eppure Jedi, che è un orgoglio italico,
“produzione Leonardo, mentre hardware e
software sono realizzati dai militari Restorage (Reparto supporto tecnico e
operativo di guerra elettronica, ndr) di
Pratica di Mare”, è stato ritirato dagli scenari della guerra afghana,
diversamente dagli F16, F35, E11A,
Reaper che hanno continuato a
seminare morte fra la gente. Ai propri lettori gli esperti bellici de La Repubblica potrebbero rivelarne i
motivi.
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