I nuovi volti, le recenti frontiere dell’affarismo di
guerra afghano prospettano sempre più intrecci d’ogni genere, collaborazioni
fra Intelligence e criminali, che poi è una rimpatriata fra simili. Certo, gli
agenti delle strutture maggiormente sofisticate improntano piani altrettanto
raffinati, perciò dovrebbero scegliersi pedine affidabili non solo per
raggiungere lo scopo, ma per serbare anche un decente livello di segretezza.
Però ambienti infarciti di personaggi degeneri oppure negligenza e
superficialità degli stessi Servizi, che sanno di non dover tenere la guardia
alta, producono storie come quella di Rahmatullah Azizi apparsa sul New York Times, attorno all’intreccio di
taglie pagate dalla GRU russa ai talebani per uccidere soldati statunitensi,
anche in epoca di trattative di “pace”. Oggi quarantenne, Azizi è raccontato da
conoscenti come un ex ragazzo che non aveva neppure una coperta per coprirsi.
L’emancipazione giunge attraverso il canale del contrabbando di droga, verso
l’Iran e altrove. Ma il salto affaristico di quest’elemento minore del panorama
criminale afghano giunge quando viene contattato da appartenenti
all’intelligence moscovita per il ruolo di mediatore impegnato a trovare
miliziani pronti a uccidere soldati americani, in una fase in cui le trattative
di Doha non avrebbero dovuto condurre a scontri aperti. Tutto in cambio di
laute somme.
Vero, falso? L’escalation economica di mister Azizi,
attualmente dotato d’un cospicuo patrimonio immobiliare, di pattuglie di guardie
del corpo degne dei più agguerriti Signori della guerra, oltreché di cumuli di
contanti: mezzo milione di dollari sono stati trovati in una delle sue
abitazioni di Kabul durante una perquisizione messa in atto da militari afghani
e statunitensi, evidenziano il cresciuto
affarismo del chiacchierato cittadino afghano e avvalorano la tesi. Gli
intrecci della geopolitica possono far pensare a un abbandono da parte dei suoi
ultimi padrini, quelli del “Direttorato per l’informazione” molto utilizzato da
Putin in politica estera come contraltare del “lavoro” della CIA. Poveri coloro
che si ritrovano in mezzo alle trame di simili Servizi, soprattutto se si
tratta di civili innocenti. In quest’operazione che doveva, e magari ha,
riempito le tasche di combattenti talebani, forse nuclei borderline rispetto
alla linea ortodossa della Shura di Quetta, impegnatasi nel corso delle
trattative a non sparare sul nemico, gli uomini di Mosca potrebbero aver
tramato per far saltare il tavolo di pace, reso peraltro già traballante dalle
ritrosie all’accordo del governo Ghani. Oppure per mettere in difficoltà la
linea Trump, dopo una fase di apprezzamento e sostegno. Certo è che le
superpotenze nei confronti del combattentismo islamico d’ogni epoca - mujaheddin,
qaediasta, talebano e del Daesh - attuano il doppiogioco favorevole alla propria
industria bellica, oltre alle geo strategie talora cangianti. Una prassi che
prosegue e si rinnova.
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