“La difesa non si
zittisce, non ci dividiamo” dicono gli avvocati,
ma il governo rema contro e ha già pronta l’ennesimo veleno per la libera
espressione, anche nelle aule giudiziarie. Da due settimane le toghe turche
hanno dato vita a sit-in davanti al Parlamento, inscenato proteste presso il
Palazzo di Giustizia, tutto senza successo. Il Meclis sta esaminando la
proposta di legge sulla riorganizzazione dell’avvocatura presentata dagli
alleati di governo: il partito islamista Akp e il partito nazionalista Mhp. Il
fulcro della proposta sta nell’introdurre la possibilità di creare molteplici Ordini
concorrenti in ogni dipartimento che conti più di cinquemila avvocati (Istanbul
ne ha 48.000, Ankara 18.000, Izmir 10.000) col presupposto che ciascuna nuova avvocatura
riunisca almeno duemila iscritti. Il passo è stato motivato dallo stesso
presidente Erdoğan col fine di offrire strutture di togati “più democratiche, più pluraliste e altamente
rappresentative”. Ma dalle file dell’Akp
c’è chi non nasconde lo scopo reale del progetto: stroncare contrapposizioni
ideologiche e politiche nei processi. I presunti slanci di democratizzazione
pluralista della categoria fanno dire alla Presidente della maggior sede dei
giuristi di Turchia che l’amore per la democrazia dovrebbe spingere la classe
legislativa ad abbassare la soglia di sbarramento per la rappresentanza
parlamentare, posta al 10%, fattore che da due decenni favorisce ampiamente il
partito di maggioranza che ottiene il 67% dei seggi col 34% dei voti. La signora
Kurtulmaz Oztürk rincara: “I Fori sono
fra le istituzioni più democratiche del Paese e la politica sceglie di ‘riformarli’
per renderli, a suo dire, più democratici?”. Facendo intendere l’aspetto
subdolo dell’operazione.
In occasione della
protesta dei colleghi contro l’iniziativa della maggioranza parlamentare lei
ricordava che nell’ultimo decennio il contropotere turco – giornalisti,
intellettuali, accademici – sia stato sottoposto a censura e silenziato con persecuzioni
e arresti. Nonostante gli asfissianti controlli, i divieti, le carcerazioni gli
avvocati rappresentano ancora una componente che può minimamente garantire a
chi è additato con le accuse più ingombranti (terrorismo, attacco alla
sicurezza nazionale) di ricevere assistenza e sostegno davanti alle Corti. Dividere
questo fronte significa per il potere crearsi alleati compiacenti o incentivare
la presenza di elementi innocui, disinteressati alla difesa degli assistiti,
una sorta di difensori d’ufficio tutt’altro che combattivi in sede di
dibattimento. La Oztürk afferma: “Dobbiamo
difendere i nostri Fori come baluardi democratici e indipendenti”. Fra le
lamentazioni del settore ci sono anche quelle professionali di chi accusa il
nuovo assetto di creare una componente di avvocati vicini a certi giudici
prossimi alla sfera politica, a discapito
di capacità e bravura. Cosicché i clienti potranno rivolgersi a soggetti che
intrallazzano col potere per veder risolte le proprie beghe. Fra le
implicazioni della riforma c’è anche l’introduzione d’un controllo politico
dell’organo di disciplina professionale. La Turchia ha già conosciuto “riforme”
favorevoli alla sfera legislativa: nel 2010 venne aumentato il numero dei
giudici costituzionali, così da permettere la nomina di elementi vicini al
partito di governo. Nel 2018 fu abrogato il diritto dei magistrati di eleggere
i loro pari in seno al Consiglio della Magistratura, compito assunto dal
presidente della Repubblica. Con quest’ultima stretta sull’avvocatura, il
cerchio di controllo si chiude.
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