“L’epoca dell’espansionismo è
terminata, viviamo nell’età dello sviluppo. La storia testimonia che le forze
dell’espansionismo hanno perso oppure devono far retromarcia”. Questo dice il
premier indiano Modi al cospetto dei generali impegnati sul confine conteso con
l’esercito cinese, nella regione himalayana del Ladakh. Modi si è recato sul
posto e, pur evitando di nominare l’altro gigante asiatico, ha voluto offrire
un segnale un po’ distensivo, un po’
ammonitore. Il leader del Bjp, al secondo mandato governativo, non può venir
meno al collante della sua politica rappresentato dall’acceso nazionalismo che
in queste ore ha subìto un ulteriore smacco internazionale con la decisione
della Corte dell’Aja di far giudicare in Italia i marò Latorre e Girone,
imbarcati sulla petroliera ‘Enrica Lexie’ e imputati di omicidio di due
pescatori indiani. Il sanguinoso episodio, avvenuto nel febbraio 2012, che infiammò
la successiva campagna elettorale del partito del premier, passa quasi in
second’ordine sulla stampa indiana rispetto alle cogenti questioni attuali. Un
governo italiano di centrosinistra (Letta) si battè per aiutare i fucilieri
della nostra Marina, utilizzati secondo norme introdotte da governi di centrodestra
(Berlusconi) come vigilantes d’una compagnìa navale privata. Nello zelo con cui
assolvevano il compito, i due spararono sui pescatori, peraltro sotto costa
indiana, (la loro difesa sostiene che le acque fossero internazionali e che non
avessero tirato sulle imbarcazioni, ma in mare aperto). Comunque la sentenza
dell’Aja prevede un risarcimento dei familiari delle vittime da parte dello
Stato italiano, e ciò lenisce lo smacco ricevuto da Delhi.
La questione cinese
risulta
assai più complessa perché rinfiamma contrasti di vecchia data, che
s’ingigantiscono alla luce di piani interni ed esteri delle due mega nazioni. La
morte addirittura di venti militari e il ferimento di altri settantasei
elementi, è un affronto che le Forze Armate indiane non digeriscono. Nel
viaggio-lampo in alta quota Modi ha al fianco il capo dello Stato Maggiore, il
generale Naravane. Nonostante un abbassamento dei toni polemici sul fronte
politico, i due eserciti, nelle due settimane successive alle sanguinose
scaramucce, hanno ammassato un gran numero di truppe nell’area della cosiddetta
Lac (Attuale linea di controllo). A inasprire le tensioni avevano contribuito entrambi i governi che, in
violazione agli accordi, hanno aperto nuove vie d’accesso nell’area (Delhi) e
costruito edifici (Pechino). In più la cancellazione dell’articolo 370 della
Costituzione indiana che garantiva l’autonomia del Kashmir, ha posto il Ladakh
sotto la giurisdizione dell’esecutivo Modi che ha avviato i citati e contestati
lavori stradali. Un pronunciamento dell’Assemblea delle Nazioni Unite contesta i
comportamenti di ciascuna potenza, ma, come spesso accade, queste iniziative
restano lettera morta. Occorrerà capire quanto spazio ogni governo vuol
lasciare alla diplomazia, rinunciando ad aver la meglio su tutto, e quanto spingeranno
le componenti militari di Pechino e di Delhi, che sempre più si caratterizzano
per spirito di corpo, desiderio di protagonismo e misure draconiane.
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