giovedì 30 aprile 2020

Delhi, la guerra del cibo


Gli ambulanti musulmani vendono frutta e verdura infettate dalla loro saliva. Fate attenzione, non comperate da loro”. Questi allarmi l’hinduismo estremista non li vocifera per strada, li diffonde anche tramite i suoi canali informativi. E’ l’ennesimo infimo livello dello scontro interreligioso che avviene col sostanziale lasciapassare del governo centrale. Certo, giorni fa quando la canea antiislamica stava crescendo il premier Modi ha diffuso un proclama di unità della nazione, ha vestito panni moderati sostenendo che il virus non distingue razze e fedi, colpisce tutti e nessuno dev’essere accusato, se non per comportamenti inadeguati e inosservanti le misure antipandemia. Il riferimento alla sconveniente riunione dei missionari del Tablighi Jamaat, che s’era tenuta a metà marzo in un quartiere di Delhi, è inevitabile. In fondo quella congregazione non ha giovato all’assedio che i musulmani già subivano a opera del fanatismo hindu. Ora, però, alcuni membri del gruppo colpiti dal virus e posti in quarantena reclamano un rilancio della discriminazione. In un’intervista concessa ad Al Jazeera un convalescente ormai guarito sostiene d’aver praticato un periodo di isolamento doppio, non di quattordici giorni bensì di un mese, di essere stato sottoposto a tre tamponi, risultati tutti negativi, ma di non aver ricevuto il visto sanitario per uscire dal centro dov’è rinchiuso. Peraltro in quel luogo la fornitura del cibo non rispetta le cadenze del periodo di Ramadan per i due pasti - prima dell’alba (suhoor) e dopo il tramonto (iftar) - cosicché i fedeli, già debilitati dalla malattia, in certi giorni non si possono nutrire.

Non solo la fazione avversa, ma le stesse autorità locali affermano che si tratta di bugie. Nello Stato di Delhi la guida è in mano all’Aam Aadmi Party, componente di recente formazione, sorta nel 2012 sull’onda della protesta contro la corruzione politica dilagante nel Paese. L’amministrazione ha l’appoggio dell’Indian National Congress, dunque, è un pezzo d’India che si distanzia dell’oltranzismo del Bjp. Però gli attriti coi musulmani, magari solo con toni di contrasto polemico, restano. Comunque, dopo la grave trasgressione per la quale hanno essi stessi pagato gravi conseguenze, alcuni adepti del Tablighi Jamaat in quarantena stanno collaborando con le autorità sanitarie di Delhi. Oltre a sottoporsi ai tamponi di controllo, su input del leader della confraternita missionaria, hanno donato il plasma per il trattamento di altri pazienti. Il plasma può essere raccolto da quelle persone che hanno un test positivo e sono state ricoverate. Secondo alcuni medici il sangue dei malati può sviluppare anticorpi utili a combattere la patologia, ma un gruppo di scienziati confuta questa tesi. Gli attuali numeri evidenziano 33.000 contagi, 23.000 attivi, 8.300 guariti, 1.074 morti così il governo ha parzialmente prolungato la fase del distanziamento, però il Paese segue percorsi differenziati. Gli Stati meno colpiti hanno già riaperto negozi e mercati, un po’ quel che accade in varie nazioni Ue. Come in Europa (e in Italia) si va in ordine sparso, con ciascuno che vuol fare di testa propria.  

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