lunedì 27 aprile 2020

Turchia, geopandemia e geoeconomia



Nelle due ultime settimane in cui l’epidemia Sars CoV2 s’è ampiamente materializzata anche sul suolo turco - superando i 100.000 contagi ma contenendo a oggi il numero delle vittime (2.600) - il presidente Erdoğan è uscito allo scoperto sul tema. In pubblico ha parlato di opportunità per la nazione e il popolo di costituire un faro in Medioriente, non nascondendo velleità d’essere al centro della scena nella prossima fase di recupero e rilancio delle economie globali. Non che quella turca navighi in buone acque, ma le pretese di certi capitani d’impresa filogovernativi non sono tramontate e le velleità di primato del Sultano restano in bell’evidenza. Del resto proprio nella martoriata area mediorientale Erdoğan s’è ripreso la scena, tallonando Putin, incensandolo dopo averlo strattonato, riguadagnandosi uno spazio militare certamente a danno del Rojava kurdo, ma anche del resuscitato Asad. Il sostegno della stampa di regime, visto che quella critica è in gran parte incarcerata e imbavagliata, è un puntello molto utile al presidente turco per rilanciare un rapporto seduttivo verso il Paese. Così alcune iniziative che riguardano la pandemia mostrano lo zampino di chi sente d’aver ampiamente spodestato dal ruolo di padre della patria lo stesso Atatürk. In questo periodo un’azione diplomatica presidenziale ha tolto il blocco ai presidi di prevenzione (mascherine e altro) provenienti da Levante e dirette in Occidente, rimasti per settimane fermi alla dogana turca. Mentre il materiale sanitario destinato a un uso interno ha in bellavista il marchio presidenziale, così da far restare nella memoria della gente da chi proviene l’impegno per battere il malefico coronavirus.
Nelle quattro settimane del sacro mese di Ramadan, chiudendo le moschee e ricordando di non riunirsi in gruppi extra familiari per il pasto serale, Erdoğan come fosse un padre spirituale rammenta ai fedeli di vivere comunque con partecipazione questo periodo. Nella certezza che la grande e islamica Turchia riuscirà a riprendersi, a essere d’esempio per la Umma musulmana, a proporsi come guida geopolitica nella regione. In realtà gli analisti finanziari guardano all’ennesima svalutazione della lira turca, che da inizio anno ha perso un 15% di valore rispetto al dollaro, come a una prossima crisi monetaria per la nazione. Servirebbe un’iniezione di denaro dal Fondo Monetario Internazionale. Però proprio la politica estera erdoğaniana ha molto scontentato la Casa Bianca, a partire dalla vicenda dell’acquisto del sistema di difesa missilistica russo S-400. E Washington conta molto nelle scelte del Fmi. Col doppiogiochismo che gli è proprio il presidente turco fa sapere che, per ora, quel sistema è accantonato. Poi, come detto, ha sbloccato il materiale sanitario in viaggio verso l’Europa, tanto per mostrarsi collaborativo verso Germania, Francia, Italia. Fra gli Stati verso cui dovrebbe indirizzarsi il sostegno monetario del Fmi l’attuale Turchia non mostra i parametri richiesti: bassa inflazione, controllo sul deficit, conti in equilibrio. Solo un miracolo le aprirebbe le casse dell’organismo internazionale. Però un altro miracolo potrebbe comparire all’orizzonte dal rilancio internazionale post Covid, quello che può collocare attività produttive in alcune aree mondiali. La Turchia è fra i Paesi che dispone di manodopera a buon prezzo, capacità tecniche e un governo forte. Da lì potrebbe partire una risalita economica e addirittura un nuovo boom. L’attenzione è concentrata sull’emergenza sanitaria, ma le ipotesi volano avanti.

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