Il Vo’ Euganeo indiano ha molti più abitanti dei 3.300 del
paesino padovano. Si aggiungono cinque zeri e s’arriva a 33 milioni. Tanti sono
i cittadini dello stato del Kerala. Concentrati non in metropoli, Kochi, il
grande porto sul mare Arabico con l’immensa periferia, non supera il milione e
mezzo di abitanti. Però la densità di popolazione è elevata, sfiora le
novecento unità per chilometro quadrato, la maggiore del Paese-continente. Così
mentre il governo centrale di Modi si barcamena fra il contenimento pandemico e
la lotta all’atavico virus della povertà di tanta popolazione, quello Stato
meridionale riscontra un formidabile contenimento dell’infezione da coronavirus.
La mossa vincente è stata - come nella comunità del paesino veneto che ha
seguito il protocollo predisposto dal professor Crisanti - un intervento
immediato e mirato sui soggetti contagiati, individuati tramite una
campionatura a tappeto della popolazione. Sappiamo che a Vo’ quel giusto
contenimento è stato reso possibile da strutture sanitarie territoriali,
salvate dalla pandemia politica che per due decenni altrove le azzerava. La
storia del Kerala è egualmente lungimirante: sostegno ai centri sanitari
pubblici con un impegno di mezzo miliardo di euro negli ultimi anni, creazione
d’infrastrutture e posti letto (5775) che altri Stati dell’India si sognano. Questa
regione meridionale indiana ha una storia molto dedita al sociale. E’ governata
alternatamente dal Partito comunista e da quello del Congresso, due soggetti
attenti ai bisogni della gente. Se ne avvantaggia la popolazione che, pur fra
le contraddizioni imposte dalla linea del governo centrale, ha visto crescere
attorno a sé le infrastrutture della sanità e dell’istruzione. Col sui 94% il Kerala
tocca il livello più alto di alfabetizzazione dell’India, che comunque registra
un lusinghiero 74% generale.
Di recente il ‘rosso’ Pinarayi Vijayan, capo dell’esecutivo
locale, ha sbloccato due miliardi e mezzo di crediti per sostenere gli ospedali
pubblici. In rapporto alla popolazione una cifra molto superiore ai venti
miliardi di euro che Modi ha stanziato per l’emergenza Covid. In altre due
recenti emergenze il ‘modello Kerala’ s’era distinto per prontezza ed
efficacia. Durante un’ennesima infezione virale detta “Nipah” che provocava
tosse, febbre, convulsioni con rischio d’encefalite. Anche in questo caso il virus
proveniva dal pipistrello e poteva esser transitato sull’uomo attraverso gli
allevamenti di suini. La seconda emergenza del 2018 scaturì da terribili
inondazioni nel periodo monsonico. Il sistema delle panchayat (le assemblee di comunità), peraltro antichissimo,
conservato ed esaltato dal governo comunista del Kerala, funzionò alla
perfezione, coordinandosi con le autorità politiche e predisponendo un
isolamento dei villaggi colpiti, nel caso della Nipah, e di soccorso nei
medesimi durante l’alluvione. Un sistema che fa imbestialire
l’ultranazionalismo hindu, poiché conferisce ampio spazio al potere orizzontale
e collettivo. Infatti in questi giorni il Kerala, che ha registrato 468 infetti
e quattro vittime da Sars CoV2 (l’India dichiara 27.000 contaminati e 900
vittime), ha avviato una graduale ripartenza delle attività, contro cui Modi ha
lanciato il suo anatema, chiedendo di rispettare le direttive centrali. Ma in
quell’area il governativo Bjp conta poco e niente, e non può schierare quei
picchiatori capaci altrove d’agire indisturbati sotto l’occhio complice della
polizia.
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