lunedì 8 novembre 2021

Tehreek-i Labbaik Pakistan, il fondamentalismo paga

Vince la piazza, vince il blocco delle autostrade e dei commerci, vincono gli attivisti del fanatico Tehreek-i Labbaik Pakistan, partito che dal Punjab fa pesare la sua ombra su Islamabad e sul governo di Imran Khan. Quest’ultimo cede, e dopo le trattative condotte da due suoi ministri - Qureshi degli Esteri, Chaudhry dell’Informazione - che per giorni hanno discusso indirettamente col gruppo islamista tramite il mufti Muneebur Rehman, riescono a rimuovere i sit-in sulle vie di grande comunicazione a cominciare da Wazirabad, località orientale a un centinaio di chilometri nord da Lahore. La contropartita è pesante: un migliaio di attivisti TLP sono già stati rilasciati, taluni erano stati fermati di recente proprio per le violenti proteste contro l’ambasciatore francese, simbolo del contrasto ideologico-religioso contro le vignette blasfeme su Maometto, rilanciato dai Labbaik. Oggi viene liberato anche il leader TLP Saad Rizvi, mentre il l’ambasciatore è tornato a Parigi di sua sponte già da giorni, temendo per la sua incolumità. Forse la ritirata è stata concordata col premier pakistano, che in tal modo si risparmia una rottura diplomatica con la Francia, partner economico non indifferente per le non floride finanze interne. Ma sul governo di Islamabad incombe la richiesta di dimissioni di alcuni politici locali, come il ministro della Giustizia dello Stato del Punjab, considerato dal gruppo fondamentalista inadeguato per una corretta applicazione della legge sulla blasfemia. Proprio l’accusa di blasfemia è diventata il fulcro del programma politico del Tehreek Labbaik che la lancia contro minoranze etniche e religiose. La comunità cristiana è da tempo la più colpita, comunitariamente e individualmente. Nonostante il caso più famoso, quello di Asia Bibi si sia concluso con un’assoluzione della donna da parte della Corte Suprema, Bibi è stata costretta a riparare in Canada. 

 

Accanto al rilascio del piretico leader Saad Rizvi, che scaglierebbe l’atomica sui nemici blasfemi, il riconoscimento maggiore ottenuto dal TLP con quest’ultimo “braccio di ferro”, è la rimozione del gruppo da una lista sull’antiterrorismo frutto di una legge pluriventennale. In tal modo lo sdoganamento del movimento è cosa fatta. Il laicismo del governo dovrà sempre più fare i conti con questioni d’ordine confessionale nella maniera in cui intende il fondamentalismo islamico, che su questo terreno punta a pescare consensi in un Paese al 96% musulmano. A cominciare dalla gestione di normative che il radicalismo interpreta, e distorce, a piacimento. Questa sigla Tehreek mira a conservare visibilità e incrementare agibilità, sceglie la protesta di piazza, scagliando pietre, ma non si arma. Al confronto dei Tehreek-i Taliban e altre formazioni del jihadismo stragista pakistano imbocca vie differenti, e non è detto meno incendiarie ed efficaci. Bloccando talune importanti arterie commerciali, il contrasto delle scorse settimane ha coinvolto anche l’imprenditoria. Nel negoziato, accanto ai politici, erano presenti alcuni affaristi pakistani. Fra loro Karim Dhedhi, figlio di un magnate giunto in Pakistan nel 1947. Attualmente il gruppo di famiglia AKD, definito dalla stampa nazionale un “gigante del mercato dei capitali”, tratta risorse naturali, infrastrutture, servizi immobiliari, delle telecomunicazioni e finanziari. Lui e altri tycoon hanno spinto sui ministri di Khan affinché le richieste dei manifestanti venissero accolte, pur di liberare le autostrade, far salire merci a Islamabad, farle imbarcare nel porto di Karachi. Ecco l’arma imbracciata dal TLP, ed ecco gli alleati, seppure solo opportunisticamente orientati. Ulteriori terreni su cui spinge l’iniziativa dei Labbaik sono i social, fruibili da decine di milioni di ragazzi ben oltre le madrase, e il territorio. Metropoli e villaggi altamente popolati, rappresentano la linfa per chi vuole infiammare gli animi. Gli attivisti di Rizvi son decisi a sguazzarci.

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