Vince la piazza, vince il blocco delle autostrade e dei
commerci, vincono gli attivisti del fanatico Tehreek-i Labbaik Pakistan, partito che
dal Punjab fa pesare la sua ombra su Islamabad e sul governo di Imran Khan.
Quest’ultimo cede, e dopo le trattative condotte da due suoi ministri - Qureshi
degli Esteri, Chaudhry dell’Informazione - che per giorni hanno discusso
indirettamente col gruppo islamista tramite il mufti Muneebur Rehman, riescono
a rimuovere i sit-in sulle vie di grande comunicazione a cominciare da
Wazirabad, località orientale a un centinaio di chilometri nord da Lahore. La
contropartita è pesante: un migliaio di attivisti TLP sono già stati
rilasciati, taluni erano stati fermati di recente proprio per le violenti
proteste contro l’ambasciatore francese, simbolo del contrasto
ideologico-religioso contro le vignette blasfeme su Maometto, rilanciato dai
Labbaik. Oggi viene liberato anche il leader TLP Saad Rizvi, mentre il
l’ambasciatore è tornato a Parigi di sua sponte già da giorni, temendo per la
sua incolumità. Forse la ritirata è stata concordata col premier pakistano, che
in tal modo si risparmia una rottura diplomatica con la Francia, partner
economico non indifferente per le non floride finanze interne. Ma sul governo
di Islamabad incombe la richiesta di dimissioni di alcuni politici locali, come
il ministro della Giustizia dello Stato del Punjab, considerato dal gruppo
fondamentalista inadeguato per una corretta applicazione della legge sulla
blasfemia. Proprio l’accusa di blasfemia è diventata il fulcro del programma
politico del Tehreek Labbaik che la lancia contro minoranze etniche e religiose.
La comunità cristiana è da tempo la più colpita, comunitariamente e
individualmente. Nonostante il caso più famoso, quello di Asia Bibi si sia
concluso con un’assoluzione della donna da parte della Corte Suprema, Bibi è
stata costretta a riparare in Canada.
Accanto al rilascio del piretico leader Saad Rizvi, che
scaglierebbe l’atomica sui nemici blasfemi, il riconoscimento maggiore ottenuto
dal TLP con quest’ultimo “braccio di ferro”, è la rimozione del gruppo da una
lista sull’antiterrorismo frutto di una legge pluriventennale. In tal modo lo
sdoganamento del movimento è cosa fatta. Il laicismo del governo dovrà sempre
più fare i conti con questioni d’ordine confessionale nella maniera in cui intende
il fondamentalismo islamico, che su questo terreno punta a pescare consensi in
un Paese al 96% musulmano. A cominciare dalla gestione di normative che il
radicalismo interpreta, e distorce, a piacimento. Questa sigla Tehreek mira a
conservare visibilità e incrementare agibilità, sceglie la protesta di piazza,
scagliando pietre, ma non si arma. Al confronto dei Tehreek-i Taliban e altre
formazioni del jihadismo stragista pakistano imbocca vie differenti, e non è
detto meno incendiarie ed efficaci. Bloccando talune importanti arterie
commerciali, il contrasto delle scorse settimane ha coinvolto anche l’imprenditoria.
Nel negoziato, accanto ai politici, erano presenti alcuni affaristi pakistani.
Fra loro Karim Dhedhi, figlio di un magnate giunto in Pakistan nel 1947.
Attualmente il gruppo di famiglia AKD, definito dalla stampa nazionale un
“gigante del mercato dei capitali”, tratta risorse naturali, infrastrutture,
servizi immobiliari, delle telecomunicazioni e finanziari. Lui e altri tycoon
hanno spinto sui ministri di Khan affinché le richieste dei manifestanti venissero
accolte, pur di liberare le autostrade, far salire merci a Islamabad, farle
imbarcare nel porto di Karachi. Ecco l’arma imbracciata dal TLP, ed ecco gli
alleati, seppure solo opportunisticamente orientati. Ulteriori terreni su cui
spinge l’iniziativa dei Labbaik sono i social, fruibili da decine di milioni di
ragazzi ben oltre le madrase, e il territorio. Metropoli e villaggi altamente
popolati, rappresentano la linfa per chi vuole infiammare gli animi. Gli
attivisti di Rizvi son decisi a sguazzarci.
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