A fine ottobre la devastazione era passata per
Tripura, Stato del nord-est indiano vicino al Bangladesh. I militanti, anche
armati, della destra estrema hindu del Rashtriya
Swayamsevak Sangh, Viswa Hindu
Parishad, Hindu Jagram Manch che
fanno della violenza, spesso assassina, la loro fede ammantandola del peggiore
comunalismo esclusivista, avevano bruciato case, negozi e una quindicina di
moschee. Nel mirino i musulmani locali, che pativano la vendetta per brutalità anti
hindu compiute nelle precedenti settimane in Bangladesh. Una catena che si
alimenta a ripetizione e va a colpire nei luoghi dove ciascuna comunità risulta
minoritaria. Venerdì scorso le fiamme si sono spostate di duemila chilometri,
nel Maharashtra, ad Amravati, città di piccole dimensioni per l’India, circa
seicentomila abitanti. Lì alcune migliaia di musulmani hanno marciato chiedendo
pace, ma covando in seno gruppi che poi si sono lanciati su negozi di famiglie
hindu, saccheggiandoli. Immediata è seguita la ritorsione. Guidata direttamente
dal partito di governo Baharatiya Janata
Party che, tramite leader locali, ha convocato i sempre allerta militanti
dell’hindutva, scatenati a loro volta
e per l’ennesima volta nel vandalizzare gli esercizi commerciali avversari. Come
spesso accade la polizia ha evidenziato tutta la propria inadeguatezza a controllare
l’ordine pubblico, giungendo in forze solo ad azioni compiute, e facendo
pensare alla tattica del lasciar sfogare la rabbia fra contendenti. Così i
militanti dell’hindutva e i miliziani
del fondamentalismo musulmano riescono ad avere campo libero nella propria
furia, possono predicare e divulgare un confessionalismo radicale, metterlo in atto,
scontrandosi in una sorta di guerra civile strisciante. Quest’orizzonte coinvolge
anche cittadini che nulla hanno a che fare con l’estremismo. La loro unica
colpa è appartenere all’una o l’altra fede ed essere conosciuti come tale.
Costoro, i propri esercizi, le loro case diventano obiettivo dei
fondamentalisti. I più esposti risultano i commercianti, quelli minuti con
bancarelle approssimative perdono poco, ma è un poco di guadagni già scarsi. Poi
ci sono quelli appena un po’ più strutturati che egualmente non possono
permettersi una vigilanza armata, che
comunque in caso di tumulti nulla può oppure si dilegua. Gli attacchi
riguardano le stesse abitazioni private e i luoghi di culto. Recenti testimonianze
riferiscono assalti di manipoli d’una decina di attivisti, ma in certi casi
addirittura di reparti d’una quarantina di elementi, che seguendo una precisa
divisione di compiti sradicano portoni, distruggono elettrodomestici,
frantumano strutture lignee e metalliche oppure le incendiano. La cittadinanza
accusa la polizia per la totale inerzia, visto che quando le violenze erano in
corso alcuni di loro hanno richiesto un
intervento degli agenti per le strade. Ma sia venerdì, quand’erano in azione
attivisti islamici, sia sabato e domenica con le scorribande alimentate dagli
hindu, i poliziotti mobilitati in città risultavano solo alcune decine. L’instabilità
del quotidiano va a minare la convivenza fra le comunità e gli organi preposti
alla sicurezza evitano qualsiasi prevenzione. Di fatto è la politica a soffiare
sul fuoco. E non tanto per immobilismo, al contrario per mobilitazione diretta.
Fra i facinorosi fermati ieri – visto che, dopo due giorni di devastazioni, le
forze dell’ordine domenica si sono adoperate a effettuare 72 fermi e arresti –
fa bella mostra un ex ministro del governo locale appartenente al Bjp. E’ Anil Bonde che assieme al
collega di partito Praveen Pote, scomparso dopo gli scontri probabilmente per
evitare la cattura, ha organizzato l’arrivo in città delle bande armate dell’hindutva. Un’orda di seimila picchiatori
che hanno predicato con spranghe e ordigni incendiari.
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