Anche chi lo critica per
le ultime due mosse: accordo coi Tehreek Labbaik Pakistan della scorsa
settimana, avvìo di colloqui coi Tehreek-e Pakistan di queste ore, non può dire
che il primo ministro pakistano Imran Khan non apparisse come un eccentrico
egocentrico. Non solo per il glamour da campione del cricket e quello da
sciupafemmine delle cronache rosa. Dopo aver abbracciato la politica e fondato
il suo Tehreek (Movimento)-e Insaf (cioè della Giustizia) ben 25 anni or sono, aveva
già detto di voler dialogare coi talebani. Certo, allora guidava un gruppetto
minoritario, che solo dal 2013 ha iniziato la conquista di seggi in Parlamento,
35, sino al successo del 2018 che gliene ha dati 119. Da odierno leader di una
nazione che, da quando è sorta, si destreggia fra diversità e contraddizioni
Khan sembra voler lasciare il segno in un momento assai delicato per il Grande
Medio Oriente. Il suo daffare s’inserisce nelle manìe di grandezza geopolitica
regionale di altri premier di Islamabad, però desta anche sospetti. Tornando ai
recenti passi gli si contesta l’arrendevolezza verso una formazione minuta ma
agguerritissima (TLP) che ha nel fondamentalismo religioso la linfa incendiaria
della sua politica. Ultimamente i Labbaik facendo leva sulla legge sulla
blasfemia, presente nel Paese dal 1986, hanno avviato un braccio di ferro con
le istituzioni chiedendo l’allontanamento dell’ambasciatore francese (che poi s’è
dileguato di sua iniziativa) per le vignette di Charlie Hebdo e la liberazione di Rizvi, il loro capo, detenuto
dalla scorsa primavera per eccessi fondamentalisti. Per ottenere ciò hanno
minacciato, e per tre settimane, attuato il blocco del traffico commerciale
sulle direttrici nord-sud. Alla fine l’hanno spuntata ricavando con la
mobilitazione di strada un risultato più esplosivo di qualsiasi attentato o
rivolta armata. I grandi imprenditori hanno spinto sul governo per una
soluzione, infischiandosene di come il successo della protesta dei Labbaik ne
potesse accrescere un credito politico tutto giocato sull’intolleranza. Quell’intolleranza
che fa usare la ‘Blasfemy Law’ contro le minoranze cattolica e ahmadi.
Khan ha avallato, incurante oppure
opportunisticamente orientato a favore del sentimento più intransigente che
movimenti estremisti come il TLP veicolano nel Paese. Poi ha raddoppiato,
quando gli echi delle concessioni al radicalismo confessionale non s’era ancora
spento. Eccolo, dunque, aprirsi ai jihadisti. Tali sono i Tehreek-e Taliban,
fuorilegge per avere in quattordici anni insanguinato strade, scuole, parchi
della nazione. Eppure in questi giorni il governo tratta con loro e stabilisce
un mese di cessate il fuoco, sebbene alla vigilia del negoziato nel nord
Waziristan quattro militari sono stati uccisi dai miliziani TTP. Che comunque
per avviare una trattativa chiedono la liberazione di centinaia di loro
militanti. Perché Khan sceglie questo negoziato? E’ lui a farlo? Due ipotesi.
La prima: lo fa di sua sponte perché tramite i Tehreek-e Taliban vuole accreditarsi
come grande amico dell’Emirato di Kabul, e collocarsi in un futuro prossimo in
prima linea nel condizionare la politica del Paese vicino. Cosa che, peraltro,
i leader di Islamabad provano a fare da decenni. Seconda ipotesi: Khan subisce indirettamente
la spinta fondamentalista, quella populista dei Labbaik e quella jihadista,
sempre latente e pericolosa, dei taliban interni che possono tornare a colpire
indiscriminatamente. Da un quadriennio hanno ricevuto colpi e perdite, sono
riparati entro il confine afghano. In parte fondendosi coi miliziani dell’Isis
Khorasan, ormai presenti in tante province, oltre a Kabul. Continuano a essere
una mina vagante che quella parte del Pakistan legata a capitali, mercati,
rapporti geopolitici non può permettersi di avere come avversario. Così Khan
s’adatta a discutere con chi accampa pretese (il rilascio di soggetti accusati
di terrorismo) prima che i colloqui s’intavolino, e potrebbe scoprire che a
direzionare i Tehreek-e Taliban siano i turbanti d’oltre confine, non nella
persona del morbido Baradar bensì nel pretenzioso clan Haqqani. Il vero jolly di
una partita del fondamentalismo di lotta e di governo, ormai ultra nazionale.
Nessun commento:
Posta un commento