E’ da quasi un secolo che l’hindutva,
neologismo creato da Vinayak Damodar Savarkar, un bramino vissuto a cavallo fra
Ottocento e Novecento, intossica la vita spirituale della religione hindu con
ricadute socio-politiche per l’intera nazione indiana. Dal 1923, con la
pubblicazione d’un testo che sviscera i suoi pensieri, Savarkar iniziò
l’attacco all’ortodossia di quella fede esaltandone le tradizioni attraverso
una personalissima interpretazione. Partiva da una realtà: l’introduzione in
varie epoche nel territorio indiano di religioni e visioni della società
provenienti dall’esterno. Lui accorpava tutto: l’espansione islamica e la
campagna coloniale britannica che, a suo dire, avrebbero inquinato il
millenario spirito hindu. L’hindutva
serviva a ritrovarlo. Nel 1925 il bramino creò il partito Rastriya Swayam Sevak, dando una svolta iper nazionalistica alla
sua ideologia. Poi non curante di quanto affermava riguardo al modello
occidentale, imposto dall’imperialismo del Ray britannico, rimase abbagliato da
altri modelli occidentali, primo fra tutti il militarismo dei movimenti
fascista e nazista, presi come esempio per creare una propria struttura
organizzativa della forza. Comunque Savarkar non si fermava all’apparato. Le
sue idee pescavano nel torbidume del nazionalismo europeo, che partorì i due
movimenti diventati regimi, temi come la razza, la fede, la terra, giustificandone
le spinte estreme con gli stereotipi di patria ed eroi. Declinati in funzione
razzista, xenofoba, machista, impregnati d’un superomismo nient’affatto
filosofico ma volto ad attaccare una delle vere essenze dell’India: la
diversità.
Diversità sicuramente di culti, che la medesima stirpe
indiana ha incontrato nel suo tragitto storico incrociando buddismo, jainismo,
cristianesimo, islamismo, parsismo, sikhismo tutti su quel territorio. Tutti
nella moderna India che lottava per l’indipendenza e l’otteneva col contributo
pacifista e pacificatore del Mahatma Gandhi. Ma l’hindutva nei decenni non ha fatto sconti a nessuno. Né
all’hinduismo storico né al padre della nazione-continente, pur divisa con la
nascita del Pakistan lo Stato creato per i musulmani da Ali Jinnah. Anche per
questo Gandhi, accusato dall’RSS di aver cercato la riconciliazione con gli
islamici, finì assassinato da un fanatico, nutrito con l’odio che le teorie di
Savarkar continuavano a produrre e che l’attivista stesso divulgava come
giornalista. Un rancore rivolto alle minoranze, soprattutto delle religioni del
Libro, presenti in loco. Quando nel 1951 nacque il Bharatiya Jana Sangh, divenuto nel 1980 Bharatiya Janata Party, la tendenza a esasperare la
contrapposizione coi musulmani crebbe ulteriormente. Nella scalata alla società
il fondamentalismo hindu puntava su strumenti considerati vitali: controllo o
condiscendenza dei media, rafforzamento del partito e meticoloso proselitismo
in ogni strato sociale, anche fra poveri e diseredati oggettivamente avversati
da chi si propone l’austera conservazione del sistema delle caste. Mentre il Rastriya Swayam Sevak aveva cercato
d’infiltrare suoi membri nei gangli statali, il partito che ne seguiva le orme
puntò a esasperare sia il conflitto religioso con le solite minoranze, sia i
contrasti politici col Partito del Congresso. Una tattica che, scommettendo
sulla polarizzazione violenta, ha nel tempo rafforzato il Bjp fino al grande balzo elettorale del 2014 in cui è diventato il
primo raggruppamento indiano.
Varie voci, anche in campo teologico, sostengono che la
linea dell’hindutva non sia mutata
nel corso dei decenni. L’astio verso la fede islamica si basa in gran parte sulla
sua omologazione a tendenze radicali, che ovviamente esistono, ma non rappresentano
l’intera comunità e i suoi fini confessionali. L’equazione è: l’Islam va
estirpato perché sanguinario e jihadista. Per farlo si sparge sangue musulmano
così da spingere taluni appartenenti alla Umma su posizioni estreme, innescando
reazioni e un processo a catena in cui si perdono le coordinate di chi abbia avviato
la violenza. Quest’ultima si autoalimenta. Basta produrre nuovi pretesti che vanno
dalla clamorosa distruzione di un’antica moschea nella città di Ayodhya,
nell’India settentrionale, a cronache che parlano di condanne per vere o
presunte uccisioni di vacche - che gli hindu considerano un animale sacro - in
alcuni villaggi dove, per l’appunto, vivono cristiani o musulmani. La falsità e
la manipolazione di notizie piccole e grandi s’è ampliata nell’ultimo decennio
e l’arrivo di Narendra Modi alla carica di primo Ministro ha accentuato il
fenomeno, visti i politici di cui si circonda collocati in dicasteri chiave, come
il ministro dell’Interno Shah. La discussa norma sulla cittadinanza indiana, concessa
a profughi di nazioni contigue che professano un altro credo, e che discrimina
gli islamici, è farina del suo sacco. Una semenza avvelenata alla stregua dei
discorsi al cianuro pronunciati da alcuni parlamentari della maggioranza che invitano
le donne hindu a quadruplicare i parti per porre rimedio alla prolificità delle
fedeli islamiche, e gli insulti sempre ai seguaci di Allah minacciando di trasformare
le moschee in porcilaie.
Eppure accanto alle volgarità, alle più aperte provocazioni che ribadiscono il clima rabbioso con cui
i paramilitari della Rashtriya Swayam
Sevak possono assassinare, peraltro sempre più impunemente, avversari o
persone sgradite il governo tramite i ministeri dell’Istruzione e della Cultura
punta a una “pulizia storica” e una riscrittura in chiave confessionale,
ovviamente hindu, della società indiana. Se ne lamenta un mondo teologico
vario, di certo il più discriminato, e purtroppo si registrano anche silenzi e imbarazzanti
omissioni da parte di alcune componenti. Atteggiamenti incomprensibili, visto
che in troppi casi i non hindu vengono attaccati e definiti “non persone” con
evidenti ricadute sui diritti civili e umani. Una tendenza che dovrebbe
interessare un’ampia platea geopolitica, spesso omertosa come in tante altre
situazioni, perché succube a logiche finanziarie, affaristiche o semplicemente
di andamento dell’import-export. L’India, fra le tante contraddizioni tuttora
presenti, è diventata un gigante economico e il business internazionale guarda esclusivamente
a quest’aspetto, disinteressandosi dell’involuzione dei costumi. Quest’ultima
ripropone come “valore” l’arcaico sistema delle caste, la marginalizzazione
della donna, oggetto del possesso maschile, incatenata al solo ruolo di moglie
sottomessa e madre prolifica. Più l’esaltazione del maschio aggressivo,
fanatico, sprezzante verso chiunque non s’identifichi col suo pensiero, col suo
credo, con le sue azioni anche le più sciagurate. Una carta identitaria
inquietante con cui un miliardo - avete compreso bene - un miliardo d’indiani devono
fare i conti.
prossimamente pubblicato sul mensile "Confronti" di febbraio 2020
prossimamente pubblicato sul mensile "Confronti" di febbraio 2020
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