“Bugie e paura” secondo il premier
indiano Modi sarebbero diffuse dalla protesta contro la legge sulla
cittadinanza che discrimina i fedeli musulmani provenienti dai Paesi vicini
(Pakistan, Bangladesh, Afghanistan). Proteste represse dalle forze dell’ordine
nei governatorati di New Delhi e Uttah Pradesh che hanno provocato 27 morti.
Modi ha tenuto a ribadirlo davanti alla folla fedele all’hinduismo e al disegno
ipernazionalista del Bharatiya Janata
Party che si prepara alle elezioni dell’Assemblea legislativa del prossimo
febbraio. Ha poi aggiunto che la nuova legge, rivolta a tutti gli indiani (un
miliardo e trecento milioni) non avrà ricadute sulla componente musulmana
interna (200 milioni di persone) per le quali non cambierà nulla. A suo dire
non esistono pregiudizi di fede. Però le nuove norme discriminano gli islamici
provenienti da nazioni vicine che si vedono negare la richiesta di residenza
che, invece, viene concessa ad altre minoranze accolte. E’ su questa chiusura di
persecuzione confessionale, e di fatto razzista, che sono montate le proteste
fra gli studenti universitari, specie in alcune strutture dove si raccolgono i musulmani.
Il capo dell’Esecutivo li sfida, sostenendo di mostrare al mondo se nel suo
operato ci sia qualsivoglia ammiccamento divisivo fra la popolazione della
nazione-continente.
L’accusa di Modi va oltre le stesse proteste studentesche. Addita
il principale partito d’opposizione, quello del Congresso, di seminare la
psicosi autoritaria ed esclusivista, a favore della maggioranza hindu, e tramare
contro il governo. Questo comportamento non vedrebbe l’aspetto centrale della
nuova norma, un passo definito dal premier “umanitario” per l’accoglienza
riservata a profughi di altre religioni, in certi casi, perseguitati da Paesi
islamici. La realtà mostra una politica, dentro e fuori i confini indiani, altamente
speculativa. Il tema è caldo e ha visto crescere le manifestazioni, nate negli
atenei ideologicizzati e trasferite per le strade della capitale, verso aree ad
alta presenza musulmana. Le autorità ne sono preoccupate tanto che dopo le
prime bastonature, hanno cercato d’isolare in ogni modo quella che sembra
diventare una ribellione. Ne sono seguite dure azioni repressive. Da qui le
vittime, gli arresti, l’oscuramento del web, la persecuzione anche andando a
pescare i contestatori sui social media. Smentisce il vezzo attualmente pacificatorio
di Modi, la scelta compiuta nel mese di agosto di revocare l’amministrazione
speciale che la regione del Kashmir conservava da tempo. Poi a novembre la
Corte federale approvava la proposta di costruire un tempio hindu su un sito
dove il fanatismo oltranzista, di cui il gruppo Rashtriya Swayamsevak Sangh è la punta dell’iceberg, aveva
distrutto una moschea. Nonostante le chiacchiere il fuoco confessionale
avvampa.
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