lunedì 23 dicembre 2019

Cittadinanza indiana, la versione di Modi


Bugie e paura secondo il premier indiano Modi sarebbero diffuse dalla protesta contro la legge sulla cittadinanza che discrimina i fedeli musulmani provenienti dai Paesi vicini (Pakistan, Bangladesh, Afghanistan). Proteste represse dalle forze dell’ordine nei governatorati di New Delhi e Uttah Pradesh che hanno provocato 27 morti. Modi ha tenuto a ribadirlo davanti alla folla fedele all’hinduismo e al disegno ipernazionalista del Bharatiya Janata Party che si prepara alle elezioni dell’Assemblea legislativa del prossimo febbraio. Ha poi aggiunto che la nuova legge, rivolta a tutti gli indiani (un miliardo e trecento milioni) non avrà ricadute sulla componente musulmana interna (200 milioni di persone) per le quali non cambierà nulla. A suo dire non esistono pregiudizi di fede. Però le nuove norme discriminano gli islamici provenienti da nazioni vicine che si vedono negare la richiesta di residenza che, invece, viene concessa ad altre minoranze accolte. E’ su questa chiusura di persecuzione confessionale, e di fatto razzista, che sono montate le proteste fra gli studenti universitari, specie in alcune strutture dove si raccolgono i musulmani. Il capo dell’Esecutivo li sfida, sostenendo di mostrare al mondo se nel suo operato ci sia qualsivoglia ammiccamento divisivo fra la popolazione della nazione-continente.
L’accusa di Modi va oltre le stesse proteste studentesche. Addita il principale partito d’opposizione, quello del Congresso, di seminare la psicosi autoritaria ed esclusivista, a favore della maggioranza hindu, e tramare contro il governo. Questo comportamento non vedrebbe l’aspetto centrale della nuova norma, un passo definito dal premier “umanitario” per l’accoglienza riservata a profughi di altre religioni, in certi casi, perseguitati da Paesi islamici. La realtà mostra una politica, dentro e fuori i confini indiani, altamente speculativa. Il tema è caldo e ha visto crescere le manifestazioni, nate negli atenei ideologicizzati e trasferite per le strade della capitale, verso aree ad alta presenza musulmana. Le autorità ne sono preoccupate tanto che dopo le prime bastonature, hanno cercato d’isolare in ogni modo quella che sembra diventare una ribellione. Ne sono seguite dure azioni repressive. Da qui le vittime, gli arresti, l’oscuramento del web, la persecuzione anche andando a pescare i contestatori sui social media. Smentisce il vezzo attualmente pacificatorio di Modi, la scelta compiuta nel mese di agosto di revocare l’amministrazione speciale che la regione del Kashmir conservava da tempo. Poi a novembre la Corte federale approvava la proposta di costruire un tempio hindu su un sito dove il fanatismo oltranzista, di cui il gruppo Rashtriya Swayamsevak Sangh è la punta dell’iceberg, aveva distrutto una moschea. Nonostante le chiacchiere il fuoco confessionale avvampa.

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