In politica, molto più che nella vita, gli ex sodali possono
diventare i più acerrimi nemici. Erdoğan lo sa da tempo. Il sistema gülenista, con
cui aveva condiviso fortune e ‘infiltrazioni’ nella Turchia kemalista, col
tempo s’è trasformato in avversario duro, durissimo, tanto da essere accusato del
tentato golpe del luglio 2016 e represso per ogni sorta di nefandezza verso
madrepatria. Da ieri un altro antagonista si para davanti al sistema
erdoğaniano. E’ la mente sopraffina di tanti progetti comuni, quella del
professor Ahmet Davutoğlu, già ministro degli Esteri e premier, nonché
teorizzatore di quel potere neo Ottomano che l’ex amico presidente ha
interpretato a senso unico: calzando il turbante del Sultano. Davutoğlu sceglie
venerdì, il giorno sacro dell’Islam, per annunciare la creazione d’un nuovo
partito, lo denomina Futuro (Gelecek
Partisi) e nella sibillina presentazione lo colloca nel bisogno nazionale
di democrazia, diritti e libertà. Come a far intendere che l’odierna Turchia è orfana
di tali virtù. L’affermazione: “L’attuale
sistema ha condotto a una grave inefficacia e un problema di fiducia, accanto a
un forte calo del livello democratico” se non è una sentenza definitiva, rappresenta
una staffilata all’amico del passato.
Al quale contrappone un programma basato sul “liberalismo che rispetta la tradizione, la diversità e il pluralismo,
la democrazia parlamentare, la libertà di stampa, il libero mercato, il
secolarismo e il pluralismo religioso” finalità un tempo professate dal
partito che ha abbandonato. Insomma, lui irrompe sulla scena, proponendo una
sorta di rifondazione dei princìpi dell’Akp che fu. Quando pure l’allora
presidente Gül, anch’egli transfuga dal partito di maggioranza, era nel nucleo originario.
Un gruppo che l’egocentrismo del Sultano ha sfaldato, circondandosi poi di soli
adulatori e affaristi. Ora il teorico del tranquillizzante “Zero problema coi vicini”, che stride
con la politica voluta da Erdoğan e che comunque lo stesso ex ministro degli
Esteri aveva accettato - per fedeltà all’Akp oggi dice -comunica che fra i
fondatori del nuovo raggruppamento ci sono islamisti e armeni e aleviti, greci,
assiri, con un 30% (basso, ma non
troppo) di presenza femminile nei ranghi di partito. Quindi parlando non di
politica, ma di linguaggio ha anche fatto cenno alla compresenza accanto al
turco del kurdo. Bisognerà vedere se ci sarà un passo verso le rappresentanze politiche,
come il Partito Democratico dei Popoli, da tre anni sotto attacco della
repressione di Stato.
Lo scontro diretto fra i due ex, svoltosi pubblicamente
e violentemente attorno alla questione dell’università Şehir (cfr. articolo)
deve aver segnato una frattura irreparabile. Rumors apparsi sulla stampa turca
riferiscono che pochi giorni fa una delegazione dell’Akp abbia avvicinato
Davutoğlu per sondarne le intenzioni definitive, ma questi si sia rifiutato di
riceverla. Evidentemente la comparsa del neo gruppo preoccupa il Partito della
Giustizia e dello Sviluppo, che nelle ultime amministrative ha perso il
controllo di tutte le maggiori municipalità. Nella polarizzazione del voto, che
ha visto i repubblicani risalire la china, ma che trova l’alleanza fra l’Akp e il
Mhp ancora salda nel consenso nazionale, i sondaggisti sono in fibrillazione e
provano a capire quale potrebbe essere il seguito del Partito Futuro. Si parla
d’un 10-11%, che non è molto, ma che potrebbe alimentare coalizioni anti-Erdoğan.
Eppure c’è chi non dà credito alla discesa in campo di Davutoğlu. In Turchia i
rilanci successivi a conflitti interni non premiano gli scissionisti. E’
accaduto nel 2016 nel duello fra Bahçeli e la Aksener, che fondò l’Iyi Party ma
non privò il i nazionalisti dei consensi ottenuti col patto con l’Akp. Un nodo
da sciogliere sarà proprio la politica estera, il terreno su cui il presidente
ha rilanciato il sogno di potenza fra tradizione e patriottismo.
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