Se la follia può orientare la geopolitica la scelta comune di
Trump e del Pentagono di uccidere a Baghdad il generale Qassem Soleimani, capo
della Forza Al Quds (i reparti d’eccellenza dell’esercito iraniano) e l’uomo di
fatto più potente della nazione dopo la Guida Suprema Ali Khamenei, è un passo
che aiuta nuove escalation di guerra. Ampliando i conflitti locali già in corso,
quelli che da tempo divorano vite inermi in Siria, Yemen e in Iraq. E quelli
che si preparano su scenari devastati, come in Libia, dove le truppe di Ankara
invaderanno non uno Stato sovrano, bensì una terra diventata di nessuno, ovvero
divisa fra uno statista-fantoccio (Fayezal Serraj) e un signore della guerra
(Khalifa Haftar) con il benestare della comunità internazionale. Così Trump
avrebbe fatto uccidere un uomo-simbolo di una nazione nemica per lanciare una
volata lunga sulla Casa Bianca, che l’impeachement subìto potrebbe ostacolare,
perlomeno nell’ombra lanciata sul suo ruolo politico. Da baro incallito Trump
cerca un recupero usando l’arma che unisce il Paese delle armi e incendia la
prateria mediorientale. Ma stavolta non è solo. A decidere che il drone
statunitense alzasse la posta con quest’omicidio - definito dal ministro degli
Esteri di Teheran “un atto di terrorismo
internazionale” che, aggiungono i connazionali, non resterà impunito - ci
sono i generali del Pentagono.
E allora nel mondo geopolitico che verrà, di cui si discute alla
luce di quanto accaduto nel primo Ventennio, c’è da riconsiderare quanto si è
avuto davanti agli occhi negli ultimi tempi. Gli Stati Uniti non sgombrano le
occupazioni di vari angoli del mondo. Si celano dietro conflitti combattuti da
alleati, schierano mercenari al posto di marines, agiscono solo dal cielo senza
sporcarsi gli scarponi con fango e sangue proprio, comunque seminano ingerenza,
distruzione, morte. Le recenti differenze rispetto al secolo scorso è che su
alcuni scenari non sono più soli. S’è fatta sotto la Russia putiniana, e nel
caos mediorientale c’è lo scontro fra le potenze regionali. L’Iran è fra
queste, nella lotta non solo a distanza con l’Arabia Saudita, ma la vera
protagonista, sempre più inquietante e invadente, non solo metaforicamente, è
la Turchia. Che Erdoğan ha plasmato secondo suoi voleri e che a maggioranza
continua a essergli fedele. Tornando allo scenario destabilizzante creato
dall’agguato mortale a Soleimani, che ha eliminato anche il comandante delle
truppe irachene Abu Mahdi al-Muhandis, vicino alla struttura militare iraniana,
accanto ai tre giorni di lutto nazionale occorrerà capire se quest’omicidio produrrà
nel Paese quel compattamento che gli iraniani riscontrano quando sono colpiti
dall’esterno.
Soleimani era un capo militare, ma con lui e dietro di
lui c’è il partito dei Pasdaran che talune piazze, non necessariamente
foraggiate dalla Cia, contestano. Di sicuro scatteranno le dure rappresaglie
che Khamenei ha già annunciato. L’eco militare di vendetta è nelle parole e nei
piani del comandante delle Guardie della Rivoluzione Mohsen Rezaei, che
rivendica per l’amico Soleimani ucciso l’alto profilo di martire della
Rivoluzione. Dunque il futuro si ripropone come il passato. Usa e Iran si rimpalleranno
il ruolo di Grande Satana, accusandosi di terrorismo e praticando operazioni
militari rivolte anche a figure-simbolo, come l’assassinio di Soleimani
dimostra. Interessate tutte le polveriere in fiamme e quelle già esplose, con
Israele prigioniero d’uno sfrontato uomo della guerra qual è Netanyahu. Paese
nuovamente nel mirino e pronto ai raid,
che verso i più deboli, come i palestinesi di Gaza, non ha mai smesso.
Nessun commento:
Posta un commento