sabato 11 gennaio 2020

Iran, pasdaran da assassinati ad assassini


Dunque è stato un missile ad abbattere il Boeing 737 della Ukraine International Aerlines, venuto giù mercoledì scorso subito dopo il decollo dall’aeroporto internazionale di Teheran. Le prove prodotte dal premier canadese Trudeau, a nome dei 63 connazionali morti nel disastro, rappresentate da immagini acquisite dall’Intelligence del suo Paese, apparivano inconfutabili. Un missile lanciato dalle Forze dell’aeronautica iraniane, una delle strutture dei Pasdaran, che temevano un attacco a una propria caserma. Ora il comandante di quelle Forze Ali Hajizadeh, dice di “voler morire” per gli effetti dell’errore umano, ammesso ufficialmente con tanto di rammaricate scuse anche dalle massime autorità del Paese, la Guida Suprema Khamenei e il presidente Rohani. Contro di loro già si scaglia la rabbia di tanti giovani. Coloro che protestavano di recente per il caro benzina e generalmente contro il regime clericale. Coloro che non hanno partecipato agli accorati tre giorni di lutto che hanno accompagnato, una tappa dopo l’altra, la salma del generale Soleimani in varie località. Probabilmente protesta anche una parte di chi ha partecipato al profondo cordoglio, ma non comprende né accetta un simile accadimento.
Un “errore umano” di quella dimensione dove condurrebbe il Paese in uno stato d’assedio? Gli iraniani desiderano difendere la patria da ipotetici o reali assalti nemici, ma devono fidarsi dei propri reparti. Quest’ultimi non possono cadere nel panico temendo le ombre di quella normalità che hanno voluto conservare nonostante la crisi in corso con gli Stati Uniti. Infatti era stata proprio l’Aeronautica militare di Teheran a non voler chiudere lo spazio aereo, e da quella decisione la popolazione s’attendeva un’efficienza che invece è mancata. Farebbe bene a morire tante volte quante sono le vittime il comandante  Hajizadeh, che assieme alle massime autorità sono al centro delle ire di quei giovani che rivendicano le vite degli 82 iraniani morti, e ovviamente di tutti gli altri passeggeri, finiti come Qassem Soleimani, ma per mano non del Satana statunitense, bensì per quel che c’è di satanico nella guerra minacciata e in quella strisciante che, peraltro i leader massimi, in questi giorni cercavano d’attenuare. Eppure nella strana esplosione del volo di linea, quando i vertici iraniani si defilavano sostenendo di non voler consegnare le scatole nere, mentre comparivano i sospetti d’un abbattimento, riemergeva una spaccatura nel Paese appena cementato dal lutto.
E nonostante il ministro degli Esteri Zarif rilanci il quasi alibi del clima d’assedio creato da Washington, e Trump risuoni le trombe degli attentati che Soleimani avrebbe preordinato, sembra quasi inverosimile che il regime di Teheran ammetta le proprie responsabilità. Altri governi, in vari momenti, hanno sempre e solo negato. In Oriente, in Occidente e in casa nostra. Forse l’apparato dei Pasdaran, che pregustava un’avanzata d’ulteriore potere interno davanti all’affronto americano che ha privato la strategia militare, politica e diplomatica interna d’un personaggio di peso come il capo della Brigate Al Quds, ha subìto lo sbando d’un errore tanto  macroscopico. Ora il malcontento riaccusa tutti: chierici, guardie della Rivoluzione, Istituzioni che dovrebbero difendere la nazione, l’economia, la gente e l’esistenza di tutti e invece mostrano buchi, carenze, omissioni di cui si pentono in ritardo. Una folla nelle strade della capitale urla contro la Guida Suprema, chiede le dimissioni del presidente, vuole un cambio di passo e di sistema. Contro di loro la polizia spara per ora lacrimogeni, nelle scorse settimane aveva usato proiettili. Aveva represso e ucciso, incarcerato e vietato, come fanno altri regimi. Gli stessi che gli ayatollah vogliono aiutare (a Damasco, a Baghdad) e lì (Beirut e San’a’) dove appoggiano la grande famiglia sciita. Ma intanto la porta di casa brucia. E non solo per le follìe omicide del Satana Trump. 

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