La Guida Suprema Ali Khamenei è intervenuta oggi a “guidare”
la preghiera del venerdì a Teheran. Non accadeva dal 2012. L’epoca in cui il
suo legame col partito dei Pasdaran, aveva liquidato Ahmadinejad e la fazione
dei basij che cercava di emarginare il peso del clero. I Pasdaran, che pure pensavano
di riportare gli ayatollah fuori dalle decisioni politiche nazionali, scelsero
di proseguire il connubio che viaggia nel tempo e rappresenta il fulcro del
blocco conservatore dominate. Stamane migliaia di fedeli sciiti e delle
Istituzioni della Repubblica Islamica hanno ascoltato le parole dell’uomo che
da molto più di Khomeini dirige la politica iraniana. Investito del ruolo dal
Ruhollah, il quale nel 1989 prima di morire promosse l’allora cinquantenne
Khamenei alla massima carica di controllo del Paese, carica introdotta col
discusso velayat-e faqih (il
cosiddetto governo del giureconsulto). Non sarebbe toccato a lui quell’incarico,
poiché era un semplice hojatoleslam
(un religioso di medio rango). Il delfino designato era Ali Montazeri un mari’a-e taqlid, nello sciismo un titolo
che spetta a pochi ayatollah, detti appunto “fonte d’imitazione”. Però per
Khomeini il compagno di studi e di lotta Montazeri non doveva essere imitato in
quelle critiche lanciategli addosso per
la prosecuzione della guerra con l’Iraq e per la severità con cui venivano
comminate pene capitali. Dunque, via l’uno, dentro il conservatore Khamenei,
che poi condivise il potere nel Paese col solido Rafsanjani, esponente della
fazione prammatica.
Rafsanjani ebbe due mandati presidenziali, fino al 1997, con cui
introdusse importanti passi di liberismo economico, di cui chierici fondamentalisti
non volevano sentir parlare. Intanto Khamenei imponeva la sua lunga mano su vitali
organismi della Repubblica Islamica: il Consiglio dei Guardiani, che ammette i
candidati alle elezioni; e l’Assemblea degli Esperti, che designa la Guida
Suprema e può esautorarla. Da trent’anni Khamenei è l’ombra presente in ogni apparato
iraniano. Legandosi a strutture diventate potentissime, come quella della forza
dei Pasdaran, che collocano i propri uomini ai vertici delle Forze Armate,
della politica, dell’economia. Controllare chi può essere ammesso alle elezioni
è l’anticamera per avere nel Majlis (il Parlamento) deputati favorevoli alle
decisioni da prendere. Guidare le bonyad
(le fondazioni, le più note sono: Mostazafan Foundation e Relief Committee) vuol
dire avere nelle proprie mani l’economia nazionale. Un’economia densa di
contraddizioni, di cui gli embarghi di Obama e di Trump dovuti al nucleare sono
solo un aspetto. L’altro è legato all’uscita dalla posizione di dipendenza
dalle formidabili risorse energetiche, questione che prima il decennio di
guerra con Saddam, quindi i contrasti interni fra conservatori e riformisti,
poi il tema del nucleare e la conflittualità regionale, hanno tenuto a lungo
congelata. Khamenei, limitato nei movimenti d’un braccio per un attentato
subìto, è da anni dato per pronto alla dipartita. Un’operazione alla prostata nel
2014, in cui gli venne asportato un tumore, lo considerava spacciato. I nemici
internazionali e interni diffondono periodicamente voci della sua morte, eppure
la Guida Suprema continua a restare al suo posto e dirigere gli assai variegati
orientamenti politici.
Nel sermone di stamane il vecchio ayatollah, ma non vecchissimo
visto che fra i tradizionalisti si contano ultranovantenni, ha riportato
l’attenzione sull’attacco ricevuto con l’assassinio del generale Soleimani. Un’azione
criminale che ha indebolito le Guardie della Rivoluzione, da cui è seguito
l’amarissimo errore dell’abbattimento dell’aereo ucraino che “fa bruciare i nostri cuori”. Questo afferma
l’uomo che decenni di politica hanno mostrato come impassibile e che il mondo
ha visto lacrimare davanti alla salma dell’amatissimo comandante pasdaran, uno
dei martiri più illustri della patria. Così la folla che assiste alla
preghiera-comizio più che pregare maledice il nemico statunitense, quello che
da quarant’anni attenta alla libera azione del Paese, e le grida “Morte all’America” risuonano come sfogo
e monito. La Guida vuole ricompattare la popolazione pur davanti alle copiose
proteste dell’ultimo biennio e alle contestazioni dei giorni scorsi. “Assassini” “dimissioni” hanno urlato in centinaia e migliaia. A essi Khamenei
contrappone i due-tre milioni che hanno pianto per Soleimani, lanciando quasi
un’improbabile sfida numerica. Non sarà questa a decidere il futuro. Più delle
migliaia dei giovani contestatori, pesano le recenti dimissioni delle tre
giornaliste, rigorosamente velate come richiedono agenzie e tivù di Stato, ma
pentite d’aver retto l’iniziale pantomima del regime sull’incidente. Solo se inizieranno
le defezioni dei fedelissimi, la partita fra i fronti pro e contro il sistema
potrà mutare gli assetti finora conosciuti.
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