L’orrendo foco della pira, cui è stata ridotta l’auto su cui
viaggiava il generale iraniano Soleimani appena sbarcato all’aeroporto di
Baghdad, è l’immagine impressa nella mente di milioni di iraniani. L’hanno
vista e rivista sulla tivù di Stato e sono scesi in strada in decine di
migliaia, a Tehran e in molte città, piangendo e urlando una rabbia infinita. Per
la morte di quello che definiscono un figlio della Rivoluzione khomeinista, e
un fratello che ha combattuto con loro. Loro sono i tanti volti che sfilano,
sessantenni o poco più, i basij, gli ex combattenti della ‘generazione del
fronte’ che ha creduto negli ideali di giustizia e parità sociale, nel riscatto
dei mostazafin. Quanto di questi
ideali sia rimasto nei decenni di consolidamento del regime dei chierici è da
verificare, poiché il Paese ha attraversato periodi di guerra civile e consenso
quasi totale, di conservazione e riforme. Con un filo rosso di contestazione
laica mai sedato. Un elemento ha finora riunito le varie anime iraniane: il
rifiuto dell’imperialismo incarnato dagli Stati Uniti. Quello che oggi, nel
volto e nell’azione del presidente maramaldo, Donald Trump, colpisce alle
spalle un sistema da sempre ritenuto nemico. Ma lo scontro ora tracimato in
attacchi omicidi, ha avuto negli ultimi tempi altra arma affilata e velenosa:
l’embargo. Doveva essere cancellato con l’accordo sul nucleare perorato dalla
presidenza Obama e raccolto da quella Rohani, superando la contrapposizione
creatasi con le amministrazioni Bush jr contro Ahmadinejad.
Eppure la promessa normalizzazione non è mai giunta. Negli
ultimi quattro anni le strutture “occidentali” della finanza mondiale anziché
regolamentare le transazioni di denaro da e verso l’Iran le hanno tenute
bloccate, come durante il periodo dell’embargo e tutt’al più le hanno
rallentate, con disagi non indifferenti. Un discorso generalizzato che vale per
le grandi aziende statali, sia per le bonyad
controllate da ayatollah e pasdaran, e poi a caduta su tutto: dalle attività
medie e piccole di imprenditori, a quelle dei bazari. Insomma, uno strumento di
pressione e soffocamento dell’economia, utile anche a riscaldare gli animi e
creare malcontento popolare. Diffuso e trasversale, come ha potuto costatare
chiunque si sia recato in quel Paese anche solo per turismo. Non solo i
cambiavalute in nero di certe piazze finanche centrali, ma tassisti, operatori
alberghieri, venditori d’ogni genere, loquaci giovani sui bus confermavano
quest’orientamento e le difficoltà conseguenti. Poi sono giunte le penali
trumpiane e la situazione è precipitata. Il moderato presidente Rohani, che
grazie a quell’accordo s’era giocato la rielezione, è stato oggetto delle
contestazioni dell’inverno 2017 e di quelle recenti del rincaro del carburante.
Con le nuove sanzioni il bilancio iraniano perde due terzi delle risorse
scaturite dal commercio degli idrocarburi e questo, in un’economia di “Stato
redditiere” mai del tutto emancipata, crea un dissesto spaventoso innescando inflazione,
carovita, disoccupazione.
Ma si registrano perdite anche in altri settori. Fonti come Financial Tribune ma anche Forbes registrano la cancellazione di
contratti per varie merci: quasi 40 miliardi di dollari per aerei mercantili,
mezzo miliardo per tappeti, 850 milioni per pistacchi e ancora caviale e
vetture per trasporto merci. Insomma un disastro per affari e lavoro. Per la
minore circolazione di capitale interno le casse statali – mentre proseguiva il
sostegno solidale alla grande famiglia sciita mediorientale, un impegno
diventato bellico in Siria e Yemen – hanno dovuto affrontare problemi di
bilancio limitando o azzerando le spese sociali interne. Da qui le voci di
dissenso alle campagne militari estere che giovani contestatori del regime
hanno agitato nei mesi scorsi. Ora questo malcontento potrebbe passare in
secondo piano, sebbene nulla sia scontato. Intanto la Baghdad sciita ha onorato
la salma del comandante Soleimani con migliaia di cittadini in strada. Chi in
quel Paese non ama l’ingerenza iraniana, guardava i funerali di soppiatto. Ma
doveva osservare anche le truppe statunitensi in tenuta di guerra che
presidiavano gli obiettivi sensibili, cui presto s’aggiungeranno altri 3.500
marines in partenza per quello che Washington ridisegna come un fronte. Domani
la salma dell’ex capo delle Brigate Al Quds giunge a Mashhad. Funerali di
Stato, da eroe e martire, presso il mausoleo dell’Imam Reza.
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