Inflazione alle stelle, valore della lira a precipizio è il
ritornello che fa fibrillare la politica turca e un po’ lo stesso presidente,
tanto efficace nelle questioni internazionali, così claudicante sul fronte
finanziario interno. Ma questa carenza, che pure fa crescere i malumori
popolari e mette a repentaglio il traguardo del centenario (2023), un obiettivo
inseguito da Erdoǧan da quando ricopriva l’incarico di primo ministro, non
mette di buon umore l’opposizione. Seppure una sconfitta elettorale facesse
saltare il banco politico dell’alleanza fra partito della giustizia (Akp) e movimento
nazionalista (Mhp) che guida il Paese dal 2017, l’opposizione avrebbe l’ingrato
compito di gestire la delicata faccenda economica. Già, l’opposizione. Quale? I repubblicani (Chp) col partito filo kurdo (Hdp) che ha buona parte
della dirigenza incarcerata? oppure un connubio dei primi con l’ex “lupa
grigia” Aksener che col suo Buon partito (İyi) è accreditata anche del 15% d’un
elettorato conservatore strappato alla maggioranza. Tutte restano solo ipotesi,
visto che la vera politica non è fatta di proiezioni elettorali. Poi ci sono i
raggruppamenti degli islamo-conservatori, ex pupilli di Erdoǧan, allontanati da
lui o allontanatisi da lui: il ministro di un’economia che fu, Ali Babacan, leader
del raggruppamento Deva e il professore prestato agli Esteri Davutoǧlu, il
teorico del “nessun problema coi vicini”,
l’esatto contrario di quanto il premier e poi presidente ha realizzato dal 2012 in
poi. Quest’ultimi mettono insieme inezie, percentuali del 3-5%. Soltanto se si
riunissero tutti, l’attuale maggioranza avrebbe problemi di maggioranza.
Resta la realtà che parla d’un nuovo ministro dell’Economia,
Nureddin Nebati, 57 anni, master in Scienze sociali all’Università di Istanbul
e dottorato di Scienze politiche e Pubblica amministrazione all’Università
Kocaeli, un’accademia efficiente che ha come motto: “educare, ricercare, produrre per la Turchia”. Un buon viatico, oggi
difficile da attuare. Dopo l’intervento della Banca Centrale Turca per
sostenere la caduta di circa il 30% del valore della lira contro il dollaro
(negli ultimi quattro anni la flessione è stata del 59%), serviva un nuovo
volto per il dicastero. Dunque via Lufti Elvan, dentro Nebati. Il ministro
uscente - che aveva ricoperto anche la carica di responsabile di Trasporti,
Navigazione e Comunicazioni – si era mostrato poco incline ad avallare la linea
di bassi tassi d’interesse sostenuta da Erdoǧan. Aveva a sua volta sostituito
il chiacchierato affarista e genero del presidente, Berat Albayrak, che s’era
fatto le ossa nella Holding Çalık, colosso dell’energia, di minerali, edilizia,
tessile e telecomunicazioni. Un addestramento che lo lanciò, anche perché
giovane, interno all’Akp e marito di Esra, la terzogenita di casa Erdoǧan.
Nella direzione del dicastero energetico Albayrak ha vissuto l’intoppo delle
rivelazioni Wikileaks su vendite,
attraverso la Turchia, di partite di petrolio gestite dallo Stato Islamico.
Vere o false che fossero le notizie, la sua immagine s’offusca, lo salva lo
stato di famiglia. La successiva nomina al ministero delle Finanze ha un esordio
da incubo: all’annuncio del suo nome la lira perde in un’ora circa 4 punti. Nella
carica dura anche tanto, fino al novembre 2020, quando si dimette adducendo
motivi di salute.
Gli osservatori finanziari sono più trancianti degli scoop di Wikileaks: sotto la gestione Albayrak la
Banca Centrale ha venduto sui mercati buona parte delle proprie riserve in
valuta estera, senza riuscire a correggere la tendenza al ribasso. Eppure la
grande malata è l’economia nazionale. Al di là del politico che sale ai vertici
del dicastero, nei cui panni ormai pochi uomini d’apparato vogliono stare, la
motrice turca non tira più. E questo sebbene ci siano ancora in ballo gli
avveniristici progetti del secondo canale sul Bosforo e cose simili. La crisi
morde non solo per l’inflazione stellare - dal 20 al 30% che oggi alla massaia
fa costare un litro d’olio 80 lire, mentre a inizio anno ne bastavano 32 - ma
per le stesse teorie presidenziali. A suo dire alte aliquote d’interesse
causano l’aumento inflazionistico, invece tassi bassi stimolano la crescita,
incrementano l’esportazione e creano lavoro. Però gli investimenti stranieri
calano, di recente Wolkswagen ha rinunciato a un impianto previsto a Izmir. Dal
2019 il presidente ha licenziato tre
governatori che s’opponevano ai suoi desideri di bassi tassi d’interesse. Egli
accusa attacchi alla moneta nazionale frutto di volute turbolenze straniere sui
mercati. E se i dati del terzo trimestre dell’anno mostrano una crescita
economica (+7%), gli analisti ammoniscono: l’aumento potrebbe risultare fittizio
e avere breve durata per l’elevata inflazione e il crollo valutario.
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