Per avere al fianco
Patrick
e non la sua immagine o il suo cartoon, gli amici, i colleghi dell’Università
di Bologna dovranno attendere. Molti sono ormai specializzati dopo il Master
che invece Zaki ha dovuto forzatamente interrompere. Per ora si sa che il
dottorando egiziano potrà uscire dal carcere di Mansoura anche domani. Forse non
sarà neppure sottoposto all’obbligo di firma, ma l’accusa di aver calunniato il
governo del Paese resta. Come rimane lo spettro dei cinque anni di condanna. La
sua avvocata, felice per l’apertura dei giudici dopo oltre ventidue mesi di
detenzione, ribadisce l’inconsistenza del castello accusatorio: i fatti citati
nei commenti postati sui social dal suo assistito erano e restano veri. Lui non
ha diffuso false notizie, né calunniato nessuno. Però l’incertezza
sull’andamento dei prossimi passi resta. Ormai il suo caso - simile a migliaia
di altri che hanno recluso concittadini d’ogni età - è diventato di pubblico
dominio. Anzi, la diffusione mediatica con cui familiari, amici, attivisti
hanno giustamente cercato di mobilitare ampi strati d’opinione in Egitto, in
Italia e altrove, diventano lo specchio con cui il regime repressivo di Sisi
deve misurarsi. Su un terreno egualmente giuridico, mediatico e politico, - sebbene
dai risvolti tragici, che vede su fronti opposti il grande Paese arabo e il
nostro Paese - quello dell’omicidio Regeni, il comportamento egiziano è stato
di totale chiusura. Praticando la difesa a oltranza dei mukhabarat assassini,
Sisi difende se stesso, non tanto dall’ipotetico e mai provato complotto ai
suoi danni. Difende il sistema che ha predisposto a tutela del proprio clan
familiare e della casta delle Forze Armate, la spina nel fianco d’una
democrazia egiziana, mai stata tale, e con la sua gestione diventata
un’autocrazia criminale. Lo scenario per Zaki potrebbe essere diverso e il
proditorio castello d’accuse nei suoi confronti cadere. Ognuno lo spera vivamente.
In tal modo il regime anziché smentirsi manifesterebbe una sorta di magnanimità
verso un accusato diventato ingombrante, proprio per il sostegno internazionale
che l’accompagna. Questo passo felice per Zaki, potrebbe assimilarsi al segnale
offerto due mesi or sono sul cosiddetto termine dell’emergenza securitaria. Note
ong egiziane, fra cui spicca l’Arabic
Network Human Right Information, si erano mostrate fortemente critiche
verso il tam tam mediatico con cui i Palazzi del Cairo avevano sostenuto quella
misura. Di fatto una pura formalità, visto che i sessantamila detenuti, fra cui
Zaki, erano rimasti sepolti vivi e i loro processi aperti. Taluni trascinati ad
libitum. Insomma guardiamo il bicchiere mezzo pieno, ma la strada per la liberazione
dei prigionieri politici d’Egitto passa per la liberazione del Paese dal suo
attuale raìs. Come nella Primavera che scacciò Mubarak.
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