“Fateci mangiare”. “Dateci i
nostri soldi congelati” dicono i cartelli dei cittadini di Kabul, quelli
che non vogliono né possono fuggire. Desiderosi di vivere nella propria terra,
da cinquant’anni stuprata da soggetti politici - interni e internazionali - che
hanno inanellato disastri, lasciandosi alle spalle scie di sangue e un vuoto di
futuro. Gli ultimi sono gli occidentali, di cui anche la nazione italiana ha
fatto parte, dileguatisi nell’agosto scorso, passando il testimone agli ex
nemici talebani diventati statisti. Del resto il simulacro di nazione
supportato per vent’anni da statunitensi ed europei aveva posto nella cabina di
comando mafiosi e corrotti come Hamid Karzai, fantocci come Ashraf Ghani,
criminali come Dostum e Hekmatyar, può quindi ospitare Baradar e Haqqani. Con
cui Washington per due anni interi (2019-2021) ha amoreggiato nel perfido nido
delle trattative di Doha, ottenendo la promessa talebana di non ospitare più
terroristi qaedisti, mentre i jihadisti del Khorasan sono l’avversario tuttora
all’opera per contendere agli uomini di Akhundzada, leadership e controllo del
territorio. In cambio l’US Forces e la Nato ricevevano la possibilità di andar
via senza lasciare propri cadaveri a terra. Questo è l’unico accordo che ha
tenuto, le due parti si sono riconosciute e rispettate. I morti delle settimane
e dei giorni che hanno preceduto la ritirata appartenevano al disgregando
esercito afghano e alla gente comune, quest’ultima sempre bersaglio di tutti. Dallo
scorso settembre costoro, che restano nel mirino dei talebani dissidenti riuniti
sotto la sigla dell’Isis-K, sono oggetto della velenosa coda del ritiro
occidentale. Per volere dell’amministrazione Biden fondi appartenenti al
governo di Kabul, circa 10 miliardi di dollari, restano congelati nelle banche
americane. La presidenza di Washington ha fermato il denaro perché non
considera l’attuale dirigenza afghana - gli ex nemici talebani, diventati amici
per la propria fuoriuscita dal Paese - soggetti affidabili per democrazia e
diritti civili.
L’azione preventiva,
diventata estorsiva,
non colpisce i miliziani islamici che hanno propri canali di sostentamento, si
ritorce contro la popolazione, sicuramente nei centri urbani, ma pure nelle
campagne colpite da un biennio di feroce siccità. L’agenzia delle Nazioni Unite
che s’occupa di alimentazione globale ha lanciato da due mesi un messaggio disperato:
23 milioni di afghani risultano al di sotto di una minima alimentazione,
rischiano la fame. Oltre tre milioni di neonati e bambini sono in pericolo di
vita. Come non definire cinica l’azione della Casa Bianca, che fino allo scorso
agosto dava ai taliban una patente di affidabilità, per poi togliergliela a
esclusivo danno della popolazione locale? Lo scempio prosegue, con la solita
codardia politica dell’Unione Europea, sempre succube ai voleri dell’alleato d’Oltreoceano.
L’oggettivo impoverimento anche di professionisti lasciati senza stipendio (medici,
insegnanti) ha assunto risvolti drammatici nell’impossibilità di reperire viveri
e prodotti di primo consumo. Un disastro umanitario innescato dalla
geopolitica, che dice di voler limitare il futuro dell’Emirato mentre fa morire
di fame un intero popolo. Oltre cinquanta nazioni musulmane si stanno occupando
della vicenda, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica s’è riunita per premere
sul governo statunitense affinché sblocchi i fondi afghani. A guidare
l’iniziativa è il Pakistan, che col suo ministro degli Esteri Qureshi ricorda come,
accanto al rischio di morte per fame, s’accompagneranno flussi di rifugiati e
nuove motivazioni per l’estremismo fondamentalista. Il Paese confinante teme
ondate di profughi, già conosciute dopo il ritiro sovietico (fine anni
Ottanta), durante il conflitto fra Signori della Guerra (metà anni Novanta) e
con l’inizio dell’Enduring Freedom (fine
2001). Varie componenti pakistane che siedono al Parlamento, dirigono
l’Intelligence, animano il fondamentalismo mirano a ‘orientare’ l’Afghanistan,
mantenendolo in una posizione politico-economica, amministrativa, militare
subalterne, non però in una drammatica miseria, foriera di malattie e morte. Da
parte sua l’Occidente, creatore dell’ennesimo Stato fallito, rilancia la sua cinica
ricetta di assistenzialismo a singhiozzo e asservimento.
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