Un silenzio incendiario, più delle fiamme che di recente ad Agra
hanno avvolto un Babbo Natale di stoffa, bruciato da militanti hindu. Il
silenzio rovente è opera del premier Narendra Modi che normalmente di focoso ha
l’eloquio con cui commenta e giustifica le violenze dei suoi seguaci. Quando
queste colpiscono gli “animali a due
zampe”, che per gli attivisti del Bharatiya Janata Party sono i cittadini musulmani,
Modi plaude e arringa ancor più gli attivisti. Ultimamente bersaglio dei suoi picchiatori
è stato un Cristo di Nazareth distrutto nel distretto di Haryana. Nessuno
spargimento di sangue, ma nell’Uttar Pradesh dove la furia arancione è sempre
viva, capannelli di fanatici hindu intonavano cori contro il Natale, i
cristiani, le loro chiese, le conversioni. Idem a Delhi, Bihar, Karnataka,
Kerala. Il clima rovente non ha interessato il governo e il leader ha scelto il
silenzio, come se nulla stesse accadendo. Del resto per tutto il 2020 diversi
Stati della Federazione indiana hanno conosciuto un crescendo di aggressioni, in
quel caso anti islamiche. Venne anche coniato il termine Coronajihad con cui s’addossava ai musulmani la responsabilità di
diffusione del Sars CoV2. In effetti nel marzo di quell’anno la confraternita Tablighi Jamaat riunì duemila adepti in
un’area di Delhi, senza che l’esecutivo vietasse un raduno responsabile d’un
primo slancio ai contagi. Egualmente un anno dopo, quando gli effetti della
pandemia erano ben più gravi e il Paese aveva conosciuto un’emergenza diffusa
con strutture ospedaliere al collasso e decine di migliaia di pire che
bruciavano i cadaveri delle vittime, Modi non vietò il mega raduno hindu sulle
rive del Gange per la festa del Kumbh
Mela.
Un’irresponsabilità reiterata e accresciuta dai grandi
numeri, visto che quella ricorrenza si prolunga per tre mesi e vede la
partecipazione di milioni di fedeli. Ma sul fronte religioso l’India di Modi
concede e limita, secondo le appartenenze. Così le Missionarie di Madre Teresa
di Calcutta si son viste negare contributi finanziari e i seguaci della chiesa
cattolica temono di finire aggrediti e fatti a pezzi come la statua del Gesù. Quest’ultimi
avevano osservato sgomenti, ma inerti l’onda d’odio che colpiva i cittadini
islamici. Molti media di Stato, mentre davano voce ai capibastone dell’Hindutva pronti a proclamare in diretta
come sia giusto “uccidere i traditori,
gli eredi di Ali Jannah”, hanno
tralasciato di evidenziare le ultime intolleranze religiose. Di fatto l’incontro
fra il leader Bjp e papa Francesco è servito alla promozione personale che il
Primo Ministro indiano fa di se stesso. Pacato, a mani giunte, quasi beato
nelle assise internazionali, feroce in casa e favorevole al peggiore
fondamentalismo degli squadristi del Rashtriya Swayamsevak Sangh (il gruppo
paramilitare alleato) o di fanatici come il monaco Yogi Adityanath primo
ministro dell’Uttar Pradesh un tempo critico con la ‘moderazione’ del partito
di maggioranza. Dal 2017 i rapporti fra Adityanath e Modi si sono rinsaldati anche
per l’immenso potere assunto dal monaco-politico nel proprio Stato. Lui
controlla direttamente la quasi totalità dei ministeri e copiosi affari. Tre
anni addietro, con un accordo fra India e Corea del Sud, nella regione è stata
creata la maggiore fabbrica di produzione di smartphone del mondo. Politologi
indicano Adityanath quale futuro premier indiano nelle elezioni del 2024. Col
monaco hindu al vertice cristiani e musulmani potranno solo tremare.
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