Ancora donne e ragazze.
Ancora Dasht-e Barchi, l’area sciita di Kabul. Ancora morte, ancora sangue.
Sangue senza pietà che lascia a terra un centinaio di persone, quaranta vittime
e circa sessanta di feriti. Tanti ne arrivano all’ospedale di Emergency, dove i letti quasi non
bastano. L’ennesimo attentato - diviso
su tre esplosioni: un’autobomba e due ordigni improvvisati - si è sviluppato
nel pomeriggio, quando le studentesse d’una scuola del quartiere abitato dalla
comunità hazara stavano uscendo dopo la fine delle lezioni. La zona è stata più
volte deturpata da attacchi, un anno fa con l’agguato senza cuore a un ospedale
pediatrico di Médecins Sans Frontières nel
corso del quale vennero assassinati addirittura neonati. Quello fu un crimine
dell’Isil afghano, questo di oggi non è stato rivendicato, ma c’è chi giura che
la matrice sia la stessa. I talebani, prim’ancora di ricevere accuse di
responsabilità, che l’attuale governo volentieri rivolge loro, si sono
dichiarati estranei e hanno condannato l’azione. Il presidente Ghani non ha
perso l’occasione per accusarli pur non potendo esibire prove da parte degli
uomini dell’Intelligence, solitamente in ritardo su tutto. Ha dichiarato: “I talebani con l’escalation della loro
illegittima guerra, si mostrano ancora una volta non solo riluttanti a
risolvere i problemi, ma complicano la situazione”. Parole di chi non sa
cosa dire e fare, di chi si sente abbandonato dagli stessi mallevadori d’un
tempo che hanno organizzato il ritiro militare entro l’11 settembre. Di fatto
il rientro delle truppe Nato pone in seria difficoltà l’esercito afghano che,
nonostante il decennio di cura, preparazione, finanziamenti e ogni tipo di
sostegno ricevuto dall’Occidente non è in grado di garantire la sicurezza al
territorio e alle Istituzioni. Intanto la fase di transizione è incertissima, i
talebani dovrebbero far parte d’un esecutivo provvisorio su cui è contrario una
parte dell’attuale establishment che però non ha né forza bellica, né presa
sulla popolazione. Quest’ultima continua a essere bersaglio di contendenti
spesso anonimi, come gli attentatori dell’Isil. L’agenzia Onu dell’Unama ha
riferito che nei primi tre mesi di quest’anno le vittime civili hanno superato
la quota di quelle registrate nel 2019.
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