Nessuna vita vale un
edificio, per quanto simbolico, per quanto utilissimo. Dunque l’angoscia per le
vittime, centoquaranta con trentanove bambini, che i palestinesi contano fra le
macerie della Striscia rappresentano l’inaccettabile in questi giorni di morte
dal cielo. E anche per chi, senza responsabilità diretta, muore dentro i
confini d’Israele. Ma la polverizzazione, minacciata e poi eseguita,
dell’edificio presente a Gaza City, dove operavano l’emittente Al Jazeera e l’Agenzia giornalistica Associated Press è l’ennesimo tassello
che Israele pone alla sua strategia d’oscuramento dei propri crimini. Evitare
di mostrare, parlare, scrivere è sempre più difficile nel sistema globalizzato
dell’informazione. Eppure si cerca di farlo. Lo fa soprattutto chi sa di stare
nel torto, chi considera i reporter nemici di cui sbarazzarsi, impedendo loro
di lavorare in ogni modo, con qualsiasi mezzo. Così dopo l’ultimatum dell’Idf,
che ha evitato di aggiungere altre morti innocenti a quelle già mietute fra i civili
di Gaza intimando di sgomberare l’edificio che sarebbe stato raso al suolo, il
proprietario dello stabile (indicato anche come un membro della Sicurezza
nell’area) chiedeva qualche altra manciata di minuti per salvare parte della
strumentazione abbandonata all’interno dopo l’intimazione di sgombero e la fuga
del personale lì impegnato. Nessuna proroga è stata concessa. E computer,
telecamere, video, macchinari professionali sono stati seppelliti sotto le
lastre di cemento della torre implosa su se stessa e sbriciolata. Così i
teorici dell’informazione corretta, sempre e tanto invocata, trattano
l’informazione. Chiaramente quella dell’edificio la considerano nemica,
faziosa, propagandistica perché appartenente all’holding che gestisce e
finanzia l’emittente qatarina dall’epoca della fondazione (1996). In realtà
Israele, non solo l’attuale governo d’Israele e il suo leader che ne indirizza
la politica da oltre un ventennio, etichettano in questo modo chiunque
(giornalista, opinionista o cittadini del mondo) la pensi diversamente da sé.
Tanto da aver marginalizzato anche altre voci ebraiche, neppure tanto
dissidenti come intellettuali democratici defunti e in vita. Impedire, poi, alla
stessa Associated Press, storica
agenzia internazionale con oltre centosettant’anni di cronaca narrata, di continuare
a farlo in quel palazzone di Gaza City, è sintomatico della grande falsità che
Israele racconta di se stessa: essere una democrazia. I fatti dal 1948 dicono
altro.
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