lunedì 24 maggio 2021

Gaza, quel che resta di certi giorni

Si specchia in una pozza torbida lo sguardo di tre oggi bambini, domani – se gli andrà bene, molto bene perché la morte è sempre dietro l’angolo – giovani gazawi. Cerchio d’acqua, forse liquame poiché l’Israel Defence Forces ha picchiato duro con le sue bombe non solo su palazzi. Ha colpito strade, interrompendone molte di gran comunicazione e cercando la ragnatela a lei ostile dei tunnel. Quegli ordigni hanno scavato trincee, aperto voragini, divelto tubature d’acqua potabile, già insufficienti per un milione e mezzo di gente. Hanno sventrato fogne. Chi osserva di persona ciò che resta dei giorni dell’anomalo conflitto, parla di tanfo, del puzzo nauseabondo degli scoli che tracimano da condutture colpite, per sbaglio? Chissà. Dodici anni addietro non è stato così, si sospetta che lo sia anche stavolta perché aerei e droni sanno su cosa e dove tirare, lo Shin Bet ha lavorato meticolosamente, lo testimonia l’uccisione di alcuni capi nemici, sebbene qualcuno sia sfuggito agli omicidi mirati. Come in altre occasioni, far fuori alcuni militanti ha divelto molte vite innocenti. Morte anche fra costoro. Morti bambini. Pure queste sono cronache d’esecuzioni annunciate, perdite collaterali all’obiettivo primario, con un’aggiunta che arrotonda la cifra e la porta da dieci a cento, da venti a duecento e passa. Saranno stati una ventina i capi di Hamas e della Jihad “eliminati”? I portavoce della Difesa israeliana non l’annunciano, forse sono di meno, il resto è una manciata di cadaveri che il popolo piange e che portavoce anche più illustri dei direttori delle testate nostrane - s’è scomodato Bernard-Henri Lévy - addebitano alla resistenza palestinese che imprigiona i gazawi. Così parlò il filosofo-scrittore, questo replicano diversi pappagalli mediologici.   

Fra chi ancora incredulo, nonostante l’età abbia salutato l’infanzia e s’avvicini all’adolescenza, osserva dai buchi una realtà che continua a non comprendere e soprattutto ad accettare e chi ormai sa che quello è l’orizzonte ordinario conosciuto dalla nascita, lì è scampato almeno in tre guerre a distruttivi missili celesti, perciò sfoglia magari qualche pagina salvata oppure pensa a come fuggire. Forse pensa a scampare alle bombe, i maestri del mainstreaming diranno: a scappare dallo Stato (sic)- galera di Hamas. Certamente rincorrere una vita nuova è il pensiero più giusto felice, pieno, desideroso d’un futuro che viene negato ai ragazzi della Striscia  anche dal corto-circuito della politica locale. Ma s’è detto cento e cento volte: lo straniamento di questi giovani, destinati a crescere e invecchiare, nella privazione d’una vita ordinaria alla stregua dei fratelli della Cisgiordania, è frutto delle tare che il loro vero carceriere, la politica d’Israele, ha creato dopo presunti accordi. Firmati e disattesi. Quelli di Oslo 1993 e il ritiro dell’Idf dalla Striscia nel 2005 hanno solo prodotto da una parte insediamenti di coloni fondamentalisti, dall’altra embarghi e raid sanguinari. Osservare dall’alto macerie è più speranzoso rispetto a non poterle guardare se si è finiti sotto quintali di cemento e gli occhi ormai sono chiusi, il respiro è spento, il sangue gelato. I cuori che restano battono per un orizzonte che non dovrebbe restare eguale, ma per chi conta e comanda, per chi decide e uccide il futuro d’una popolazione senza il diritto alla vita è un fuscello. Lo si può estirpare senza dover rendere conto all’umanità e per i più fedeli del popolo eletto, neppure a Dio.

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