Si specchia in una pozza torbida lo sguardo di tre oggi
bambini, domani – se gli andrà bene, molto bene perché la morte è sempre dietro
l’angolo – giovani gazawi. Cerchio d’acqua, forse liquame poiché l’Israel
Defence Forces ha picchiato duro con le sue bombe non solo su palazzi. Ha
colpito strade, interrompendone molte di gran comunicazione e cercando la
ragnatela a lei ostile dei tunnel. Quegli ordigni hanno scavato trincee, aperto
voragini, divelto tubature d’acqua potabile, già insufficienti per un milione e
mezzo di gente. Hanno sventrato fogne. Chi osserva di persona ciò che resta dei
giorni dell’anomalo conflitto, parla di tanfo, del puzzo nauseabondo degli
scoli che tracimano da condutture colpite, per sbaglio? Chissà. Dodici anni
addietro non è stato così, si sospetta che lo sia anche stavolta perché aerei e
droni sanno su cosa e dove tirare, lo Shin
Bet ha lavorato meticolosamente, lo testimonia l’uccisione di alcuni capi
nemici, sebbene qualcuno sia sfuggito agli omicidi mirati. Come in altre
occasioni, far fuori alcuni militanti ha divelto molte vite innocenti. Morte anche
fra costoro. Morti bambini. Pure queste sono cronache d’esecuzioni annunciate, perdite
collaterali all’obiettivo primario, con un’aggiunta che arrotonda la cifra e la
porta da dieci a cento, da venti a duecento e passa. Saranno stati una ventina
i capi di Hamas e della Jihad “eliminati”? I portavoce della Difesa israeliana
non l’annunciano, forse sono di meno, il resto è una manciata di cadaveri che
il popolo piange e che portavoce anche più illustri dei direttori delle testate
nostrane - s’è scomodato Bernard-Henri Lévy - addebitano alla resistenza
palestinese che imprigiona i gazawi. Così parlò il filosofo-scrittore, questo
replicano diversi pappagalli mediologici.
Fra chi ancora incredulo, nonostante l’età abbia salutato
l’infanzia e s’avvicini all’adolescenza, osserva dai buchi una realtà che
continua a non comprendere e soprattutto ad accettare e chi ormai sa che quello
è l’orizzonte ordinario conosciuto dalla nascita, lì è scampato almeno in tre guerre
a distruttivi missili celesti, perciò sfoglia magari qualche pagina salvata
oppure pensa a come fuggire. Forse pensa a scampare alle bombe, i maestri del
mainstreaming diranno: a scappare dallo Stato (sic)- galera di Hamas. Certamente
rincorrere una vita nuova è il pensiero più giusto felice, pieno, desideroso
d’un futuro che viene negato ai ragazzi della Striscia anche dal corto-circuito della politica
locale. Ma s’è detto cento e cento volte: lo straniamento di questi giovani,
destinati a crescere e invecchiare, nella privazione d’una vita ordinaria alla
stregua dei fratelli della Cisgiordania, è frutto delle tare che il loro vero
carceriere, la politica d’Israele, ha creato dopo presunti accordi. Firmati e
disattesi. Quelli di Oslo 1993 e il ritiro dell’Idf dalla Striscia nel 2005
hanno solo prodotto da una parte insediamenti di coloni fondamentalisti,
dall’altra embarghi e raid sanguinari. Osservare dall’alto macerie è più
speranzoso rispetto a non poterle guardare se si è finiti sotto quintali di
cemento e gli occhi ormai sono chiusi, il respiro è spento, il sangue gelato. I
cuori che restano battono per un orizzonte che non dovrebbe restare eguale, ma
per chi conta e comanda, per chi decide e uccide il futuro d’una popolazione
senza il diritto alla vita è un fuscello. Lo si può estirpare senza dover
rendere conto all’umanità e per i più fedeli del popolo eletto, neppure a Dio.
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