La politica estera della Casa Bianca che, col verbo
dell’amministrazione Biden, s’impegna ad adottare un approccio di difesa dei
diritti nelle controversie internazionali mostra un fiato cortissimo nella
crisi israelo-palestinese di questi giorni. Sia sulla Spianata delle Moschee,
ridotta a un campo di battaglia e ancor più sulla Striscia di Gaza ridiventata
bersaglio dei raid aerei dell’Idf. Ci sono anche i razzi lanciati sul
territorio israeliano, finanche su Tel Aviv
- alcune fonti dicono un migliaio - che hanno provocato una terza vittima, dopo
le due donne colpite ad Ashkelon, mentre cinquantatré risultano finora i
cittadini arabi morti nell’escalation militare che ha tutta l’aria di
rinverdire le campagne di sangue degli ultimi dodici anni, da Piombo fuso del 2009 al Margine di Protezione del 2014. E mentre
Hamas, direttamente colpita nella Striscia sia con l’uccisione mirata di tre
responsabili più l’abbattimento d’un grande edificio di sua giurisdizione, e la
Jihad islamica si scambiamo col premier Netanyahu accuse e minacce su chi pagherà
di più nelle prossime ore, nel dramma e nella morte già fioccano le
denominazioni: Guardiani delle mura
la chiama Tel Aviv, Spada di Gerusalemme
rispondono da Gaza, da Oltreoceano non
giungono segnali di contenimento d’un contrasto che già scivola in aperta
offensiva. Israele muove truppe sui confini e richiama oltre cinquemila
riservisti. Anche perché in alcuni centri dove la convivenza con gli
arabo-israeliani si snodava senza contrasti, la litigiosità è deflagrata in
base alla virulenza di questi giorni: a Lod, a sud di Tel Aviv, la cittadinanza
palestinese ha dato alle fiamme sinagoghe e auto. Stavolta la popolazione
d’Israele non osserva in tivù quel che compie Tsahal alle vite degli altri,
vede la propria vita in pericolo, ovviamente non su tutto il suo territorio.
A un Biden meditabondo o assai più in attesa di mosse
internazionali, soprattutto russe e turche visto che quei due capi di Stato si
confrontano su questa crisi, sopperiscono suoi subalterni, ad esempio Sullivan,
il consigliere per la sicurezza nazionale, che si confronta con l’omologo
israeliano. Più che altro per sostenere la linea della difesa degli storici
alleati. Nessuna parola sui blandi tentativi dell’Onu di ripristinare la calma,
anche perché proprio gli Stati Uniti stanno prendendo tempo e per ora
impediscono la formulazione di testi e risoluzioni. L’attuale ambiguità non
stupisce di certo, è una posizione adottata da decenni con le più svariate
amministrazioni sempre unite nell’avallare l’occupazione illegale di
Gerusalemme nel 1967, l’annessione di fatto del 1980, fino ai passi ampiamente
provocatori del 2017 col riconoscimento della Città Santa quale capitale
d’Israele. Certo, gli ultimissimi voltafaccia delle più occidentali fra le
nazioni arabe firmatarie del cosiddetto ‘Accordo di Abramo’, hanno posto una
pietra tombale sull’annosa rivendicazione d’uno Stato Palestinese, promesso,
concesso per modo di dire a Oslo, e scippato dalla prosecuzione delle
occupazioni illegali dei coloni, proseguite ora col parossistico sfratto da
Sheikh Jarrah. Think tank democratici che in questi giorni osservano e, magari,
commentano col solito buonismo di ritorno le fiammate di violenza nei luoghi,
anche quelli di preghiera, dove i palestinesi sono ghettizzati, sostengono che
occorre lavorare per isolare e prevenire violenze. Eppure da oltre un decennio
le contraddizioni - palesi, stridenti - nella Cisgiordania occupata e nella
Striscia martoriata non solo dal fuoco aereo, ma dall’embargo terrestre, sono
rimaste inalterate. Quindi hanno
incrementato la frustrazione sociale e civile d’un popolo ridotto a servitù dal
fanatismo dell’ultradestra israeliana ormai padrona d’uno scenario
politico incistato dal non senso d’un
sistema che gode della discriminazione imposta a cittadini piegati dall’apartheid.
Egualmente la casta politica palestinese congela presente e futuro (le elezioni
rimandate ancora una volta sono l’ennesima prova), davanti ai falsi fratelli
del mondo arabo avvelenatori di pozzi e al cinismo geopolitico internazionale. E
il cerchio appare tragicamente chiuso.
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