Quant’è lontano,
misterioso, complesso l’Hindostan in cui si muove Abu’l Fath Jalal al-din Muhammad
Akbar, terzo imperatore della dinastia Moghul. Indubbiamente lo è. Ma può
essere avvicinato, rivelato, diventare addirittura accessibile se ci si lascia condurre
per mano dalle storie pubbliche e private che Navid Carucci, con prosa maestra,
offre in questo romanzo. Le vicende narrate sono liberamente vissute nella
mente dell’autore, eppure i personaggi, da quelli centrali - il sovrano Akbar,
l’erede Salim, il mullah Badauni, il gesuita Acquaviva, la bella Man Bai,
l’inconsolabile Samir - sono tutti vissuti cinque secoli or sono. L’anno 988
dell’Egira, il 5340 per gli Ebrei, il 4681 per gli Hindu, il 1580 per i Nazareni.
Certo, l’apice dinastico raggiunto proprio sotto Akbar, il più Grande non solo di nome, fu una
fase di luce che andò ad affievolirsi e soprattutto nessun Capo di Stato ne
eguagliò saggezza, giustizia, curiosità, tolleranza, timore di Dio. Vissuto
poco più di sessant’anni, la salute non lo sostenne e già a quaranta delle
coliche facevano temere una sua prematura scomparsa. Ma Allah protesse ancora
per due decenni la capacità di Akbar di far misurare fra loro teologi chiusi
nei rispettivi dogmi: sunniti, sciiti, hindu, zoroastriani, gesuiti in missione,
e immancabili cultori della Torah. Un incontro di confessioni e culture, di
menti e desiderio di primato. Eppure l’equilibrio di Akbar poneva nella luce migliore
le qualità d’ognuno, creando in tempi dove, in ogni latitudine, per fede ci si
sgozzava, il modo per misurare l’intelletto, rilanciare il confronto e
l’apertura dell’anima. Vicende tuttora attualissime, perché la storia legata
alla politica per secoli ha continuato a usare la religione per sopraffare
anziché meditare e consolare. Nello spedito srotolarsi della trama che, con un uso
mirabile dei dialoghi fra i personaggi, procede come la sceneggiatura d’una pièce teatrale, hanno un ruolo vitale
gli intrecci personali, le storie amorose, le passioni, le fobìe, i desideri, le
frustrazioni. In ogni pagina c’è una vita antica, non diversa, però, da quanto
di simile continua a esistere nel nostro presente. Che per essere meglio
compreso deve guardare indietro, poiché nella Storia come nella vita quel che
ci ha preceduto non dista poi tanto da quanto sta accadendo.
Nessun commento:
Posta un commento