Vanta un attacco sterminatore l’Afghan National Forces e lo evidenzia con soddisfazione con
comunicati ufficiali. Con un’offensiva lanciata ad Arghandab, località prossima
alla città di Kandahar, ha ucciso 37 talebani, sequestrando loro motociclette e
armi. L’area era da mesi sotto il controllo dei combattenti coranici. Invece
stamane un Improvised Explosive Device
ha fatto saltare in aria un veicolo di pattugliamento a Qarabagh, nel distretto
di Kabul. Dei cinque militari della sicurezza investiti dalla deflagrazione uno
è morto, quattro sono feriti. Fra i due episodi può non esserci collegamento,
quest’attacco, come spesso accade, non ha ricevuto alcuna rivendicazione e
l’episodio ha le caratteristiche delle ordinarie azioni di guerriglia che con
un impegno minimo, consistente nel disseminare Ied, si possono colpire i pattugliamenti militari dei governativi.
Naturalmente nelle esplosioni possono finire coinvolti passanti, ma questo
rappresenta la “normale” quotidianità afghana e gli stessi autori, responsabili
di uccisioni di civili, sostengono che ciascuno sa ciò che rischia muovendosi
per via, sa che è in corso una resistenza armata agli occupanti Nato e a un
esercito collaboratore, organizzato e
sostenuto dalla missione Resolute Support.
Azioni simili rientrano nelle cronache
d’ogni giorno, ieri tre membri dell’ANF erano stati uccisi da un’autobomba
esplosa al loro passaggio nel distretto di Paghman. Un servizio dell’emittente
televisiva Tolo Tv ricordava che nel mese
appena concluso le esplosioni in varie zone del Paese hanno diffuso morte fra
307 cittadini, portandone 350 in ospedale.
Intanto lo spiazzato dai due tavoli dei colloqui di pace
finora tenuti a Doha e Mosca, il presidente Ghani, cerca visibilità nell’assise
proposta dal Segretario di Stato statunitense Blinken: un nuovo tavolo di
trattative, a supporto di quello qatarino, da avviare in Turchia. L’iniziativa
verrebbe allargata alle Nazioni Unite, tanto per offrirle respiro
internazionale. Per scrollarsi di dosso l’epiteto di fantoccio americano o
semplicemente per la frustrazione conseguente a questo che per anni è stato il
suo ruolo, Ghani fa il classico passo più lungo della gamba e cerca di opporre
all’ipotesi d’un sistema politico per l’immediato futuro che includerebbe anche
i talebani una propria Road map. Propone, prima fase: l’attuazione d’un cessate
il fuoco incondizionato monitorato internazionalmente (da chi? truppe Nato,
caschi blu Onu?). Seconda fase: elezioni presidenziali per implementare un
“governo di pace”. Terza fase: reintegrazione di rifugiati e sviluppo
nazionale. Secondo quanto dichiarato dalla sua cerchia tale Road map sarebbe
all’attenzione di alcuni Paesi stranieri, mentre la discussione in Turchia
potrebbe avviarsi fra un paio di settimane, però non si sa ancora dove. Prima
dell’apertura dell’incontro il governo dovrebbe incontrare una delegazione di
studenti coranici, ma costoro hanno sempre rigettato l’ipotesi, non vogliono
riconoscere all’attuale presidente afghano alcuna autorità. I taliban di fatto
trattano con gli statunitensi, che vorrebbero tardare il ritiro delle truppe
oltre la già accettata scadenza del 1° maggio, e chiedono in cambio la
liberazione di qualche migliaio di loro combattenti. Questi gli ultimi e unici
patteggiamenti che potrebbero concretizzarsi in base al potere contrattuale dei
due fronti a confronto.
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