martedì 5 aprile 2022

Khan, gran gioco d’azzardo

Da una spregiudicatezza all’altra Imran Khan sembra non perdere un colpo, come nei giorni migliori del suo cricket mondiale. Che non dimentica, anzi in questa fase infuocata diventa un rifugio. “Giocherò fino all’ultima palla” dice davanti a mosse politiche diventate sempre più estreme per le tattiche utilizzate. Il 24 febbraio il premier stringeva la mano a Putin proprio all’avvìo dell’operazione bellica in Ucraina, più d’un notista ne sottolineava la stonatura o la scelta di campo, Khan  tirava dritto cercando di tamponare con accordi energetici vantaggiosi gli svantaggi d’una economia interna strapazzata dalla pandemia più che in altri luoghi del Medio Oriente. Almeno questa è la critica lanciata dall’opposizione che nel mese seguente ha rincarato la dose trovandosi unita, dal Partito del popolo pakistano al Pakistan Democratic Movement al Jamiat Ulema-e Islam Fazal. Formazioni non corpose o che molto consenso avevano perso alle elezioni del 2018, quelle con cui Khan era balzato al vertice con un partito, Pakistan Tehreek-e Insaf, creato poco tempo prima. Ma in quest’ultime settimane l’Esecutivo che guida la nazione con la stringatissima maggioranza di 176 voti ne ha persi una ventina per la defezione d’un alleato che a una verifica può far mancare quei voti. Musica nelle orecchie dell’opposizione che s’apprestava a presentare una mozione di sfiducia con cui Khan avrebbe dovuto dimettersi e indire entro tre mesi le consultazioni politiche con alcuni mesi d’anticipo sulla data naturale dell’agosto 2023. 

 

Ed ecco il colpo da superbattitore, una battuta da quattro punti con la palla che rotola fuori campo, o addirittura da sei quando la sfera rintuzzata vola via senza toccare il terreno. Insomma Khan decide di sciogliere l’Assemblea Nazionale sostenendo che la mozione di sfiducia rappresenta un atto anticostituzionale, un’interferenza ordita all’estero, magari alla Casa Bianca. I partiti della sfiducia si appellano alla Corte Suprema, questa tentenna, si prende un giorno, ieri. Poi un altro, oggi, dicendo col giudice Umar Ata Bandial di non voler “interferire” con faccende di Stato né di politica estera. Il caos - istituzionale, giuridico, politico, securitario - è quasi la normalità nel popoloso Paese islamico dove diversi primi ministri non hanno concluso il mandato per vari incidenti di percorso: golpe, colpi di mano, attentati, dimissioni per corruzione e arresti. Magari anche in quest’occasione la crisi verrà ricomposta e superata, sebbene le mosse dell’attuale premier siano apparse azzardate. Dal voler rivestire un ruolo di primo piano col nuovo governo afghano a trazione talebana, galassia che in Pakistan ha la propria quinta colonna divisa fra la Shura di Peshawar e quella di Quetta, assolutamente autonome da influssi del governo di Islamabad, tutt’al più aperte a relazioni con la sua Intelligence. Al duetto e chiusura con la fazione fondamentalista dei Tehreek-e Labbaik, alle aperture per relazioni mercantili con Pechino ed energetiche con Mosca, tutto alla faccia di Washington. Domani il futuro di Khan potrà proseguire o venir tranciato da un verdetto d’un Tribunale che appare restìo a decisioni lineari, ma è il Pakistan e la sua gente a ritrovarsi nello scompiglio d’una politica che continua a mostrarsi egoistica e autoreferenziale.    

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