Ha voglia il cantautore
Ramy Essam - che quasi un decennio fa, faceva intonare Irhal (Vattene) all’intera piazza Tahrir sollevatasi contro Mubarak
- a chiedere ai governi europei di rompere i rapporti con la dittatura di Al
Sisi. L’intervista è di ieri, ai microfoni della Rai a seguito della consegna
del ‘premio Tenco’ assegnato all’artista. Ma l’accorato appello difficilmente
verrà raccolto da esecutivi che nell’epoca Covid guardano agli affari
economici, non certo al dramma della repressione nel grande Paese arabo. Mentre
Essam solleva il suo grido di dolore, e può farlo solo perché dal 2014 è
fuggito dall’Egitto di Sisi di cui ha impresso sulla pelle la ferocia, l’apparato del presidente-golpista continua a
colpire. Ieri sera è finito in galera Gasser Abdel Razek, direttore dell’Egyptian Initiative Personal Rights,
struttura che da lunedì scorso s’è vista incarcerare il direttore
amministrativo Mohamed Basheer e Karm Ennarah, responsabile della giustizia
penale. La colpa del trio è d’aver incontrato nei giorni precedenti alcuni
rappresentanti di Stati europei alleati del Cairo (Germania, Francia, Gran
Bretagna) e un esponente del Canada. Il tema dei contatti verteva appunto sulla
repressione e il totale disprezzo dei diritti dei propri cittadini da parte
delle autorità egiziane. Un aspetto del tema coercitivo riguardava la pena
capitale. Un recentissimo rapporto dell’Eipr
denuncia la pratica di cinquantatre condanne a morte nel mese di ottobre,
di cui il regime di Al Sisi s’è macchiato senza rivelare i luoghi delle
esecuzioni. L’arresto dei tre esponenti dei diritti segue la consolidata prassi
dei “quindici giorni” che vengono poi prolungati ad libitum. Anche l’accusa
rivoltagli ricalca un copione prestabilito: diffusione di notizie false che incrinano
la sicurezza nazionale. Ulteriore addebito è la presunta minaccia di rovesciare
il sistema. Del resto dal ministero degli Esteri del Cairo si ammoniscono gli
alleati occidentali a non rapportarsi a Ong e organismi (in genere dei diritti
umani come HRW, che continua a lanciare appelli per la liberazione di oltre
60.000 prigionieri) “impegnati a
screditare il buon nome dello Stato egiziano”. Lo Stato della distruzione
delle identità non solo di oppositori e attivisti, ma di giornalisti,
intellettuali, avvocati dei diritti e chiunque sia impegnato a rivelare gli
effetti del sanguinario regime benvisto dai reazionari del Medio Oriente e del
mondo. Tollerato dagli altri per vile affarismo.
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