Nelle ricostruzioni a posteriori, del resto quest’inchiesta
s’è appena conclusa, prende corpo l’idea che quei, forse all’epoca definiti
‘danni collaterali’, che erano corpi in carne e ossa poi ridotti in cadaveri,
vennero massacrati per avviare alla guerra reclute. Versare sangue per fare
sangue, non a caso la pratica veniva definita “sanguinamento”. La macelleria è
quella afghana. Vestivano i panni del boia divise australiane aggregate alla
Nato, gli Special Air Service, non i mercenari
col tempo sempre più utilizzati, ma militari di carriera sotto la direzione
statunitense. Diventavano capri espiatori i contadini della provincia
centro-meridionale dell’Uruzgan. Saifullah, Bismillah e decine di simili finiti
sparati in testa, in petto, alle spalle più o meno come i martiri delle
Ardeatine, solo in numero più ridotto: trentanove. Rivelazioni frutto delle
testimonianze acquisite dai responsabili di una Commissione sui Diritti Umani,
che sono state utilizzate nell’inchiesta aperta dalle Forze armate di Canberra nei
confronti dei propri corpi inviati a sostegno della guerra voluta da George W.
Bush e proseguita da Barack Obama. L’epoca dei fatti s’aggira attorno al 2005.
Ma talune ‘operazioni speciali’ ed extraordinary
rendition sono proseguite anche oltre, durante la prima amministrazione del
“presidente della trasformazione”, un cambiamento che la politica estera
americana ha solo parzialmente conosciuto. Non sul fronte afghano, dove il
ripensamento attorno agli “scarponi sul terreno”, preludio del rientro di
truppe che erano giunte a 100.000 unità, è una conseguenza delle ripetute
battute d’arresto della campagna militare Usa nei territori occupati.
Dal 2010, anno delle maggiori perdite sul campo della missione
Isaf (711 proprie vittime), i marines ridussero l’attività di terra e gli
stessi pattugliamenti in territori ritenuti ostili. Ora, di perfide fasi del
conflitto che di per sé fanno del cinismo un metodo più o meno periodico, la
travagliata Repubblica Islamica dell’Afghanistan è teatro da decenni. I fatti
ricostruiti, bontà sua, da un tribunale australiano se non in cima ai crimini
reiterati su quegli scenari, costituiscono comunque un’operazione criminale. Assaltando
famiglie inermi nei villaggi dell’Uruzgan, sfondando porte delle case, puntando
armi su donne e bambini, aizzando su di loro cani, sequestrando e passando per
le armi uomini solo perché vivevano in aree dove la guerriglia talebana era
presente e aspra, ha fomentato nella gente il rifiuto di qualsiasi presenza
straniera. Un’occupazione che solo la propaganda, cui le nazioni aggregate alla
Nato hanno offerto supporto di uomini e reparti speciali (l’Italia che ripudi
ala guerra coi parà del Col Moschin e del 4° reggimento alpini, fino alla task
Force 45, coinvolta nelle ‘consegne straordinarie’ della Cia) dichiara di
sostegno logistico alla popolazione. Chi quei tank, quelle spregevoli armi d’assalto
se li è visti venire addosso e far fuoco, se sopravvissuto, ha incamerato ben altra
visione dell’Enduring Freedom e dell’Isaf mission. Come l’ha
dell’insulso Resolute Support utile alla
conservazione di eserciti che perpetuano le proprie spese autoreferenziali. Grazie
a esse, in base a un’occupazione che prosegue le forze talebane hanno costruito
il mito della propria resistenza e s’apprestano a rientrare nei palazzi del
potere.
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