lunedì 5 dicembre 2022

L’India di Rahul il marciatore

 

Neppure il cognome talmente ingombrante gli aveva scrollato di dosso l’etichetta di eterno ragazzo, che per chi vuol fare politica ovunque nel mondo non è proprio un complimento. Sta per principiante non per chi si porta bene l’età. Rahul Gandhi, oggi cinquantaduenne, è figlio della mamma italiana Sonia, attuale presidente di un malmesso Partito del Congresso che però la storia dell’India moderna l’ha fatta attraverso la stirpe Gandhi. Costoro non sono parenti del Mahatma, ma d’un altro padre della patria: Jawaharial Nehru, bisnonno di Rahul. Che annovera in famiglia la nonna Indira e il padre Rajv, entrambi vittime della violenza che nonostante tutto ammanta la nazione indiana. Nel caso di questi omicidi attraverso due guardie sikh e le cosiddette Tigri Tamil. Rahul Gandhi per un buon periodo ha alloggiato fuori dal continente, sia per studiare in prestigiosi college e università inglesi e statunitensi, sia per riparare da possibili agguati. Col nuovo millennio è tornato in India e nel 2007 è stato nominato segretario generale del Partito del Congresso. Ma non è durato a lungo. In un gioco di specchi nella formazione dominata dal clan familiare si è alternato con la madre, stando un po’ dentro un po’ ai margini d’un gruppo politico glorioso, ormai ammantato solo di lustro e lustrini. Con l’avvento dell’aggressivo Bharatiya Janata Party, che incarna un intollerante confessionalismo hindu, gli spazi per il cuore tenero di Rahul si sono ulteriormente ristretti. Ma visto che finora non ha rivolto altrove i suoi interessi il richiamo della politica resta una costante nella quotidianità pur ovattata della sua schiatta. Fino alla folgorazione dello scorso settembre quando l’eterno figlio di Sonia s’ispira, almeno nel gesto, alla figura mistica proprio del Mahatma. Così pensa di camminare tanto, tantissimo e attraversare Stati federali in lungo e in largo. Se non è una “marcia del sale”, come quella lanciata nel 1930 dall’avvocato dalla ‘grande anima’ che protestava contro la tassa imposta dal Raj su quell’essenziale elemento, la surclasserà sul fronte chilometrico superandola di dieci volte. 

 

Tremilacinquecento i chilometri che Rahul vuole percorrere per avvicinare il Paese alla sua persona e inserire se stesso nei territori. L’obiettivo è farsi una propria anima in vista delle elezioni previste per il 2024. Da tre mesi sta percorrendo sedici chilometri al giorno, ogni giorno, con ogni tempo, un bell’impegno fisico anche per un cinquantenne. E’ un’operazione a effetto che ha avuto un richiamo mediatico, sebbene il centinaio di attivisti che l’accompagnano tengano lontani taccuini e telecamere poiché il leader vuole parlare, incontrare, toccare solo la popolazione. Per “unire l’India”, come ha dichiarato all’avvìo, contro l’odio diffuso a piene mani dal partito di governo. L’odio del razzismo dell’hindutva che l’estremismo hindu lancia soprattutto contro le confessioni islamica e cristiana. Per risalire la china della popolarità politica, il poco carismatico Rahul, vuol avvicinare questioni sociali: disoccupazione, inflazione, mancanza di risorse per un rilancio economico su cui non ha da dire molto più dei contestati avversari in quanto il suo partito non ha pianificato granché. Intanto lui cammina. Certo, incontra tanti potenziali elettori nelle città e nelle campagne, si mostra con la veste dimessa del viandante che suda, fatica, s’avvicina alle pene altrui con l’antico gesto del camminatore. Eppure potrebbe non bastare per attirare consensi. Pensando in grande, cosa che la famiglia ha fatto ma a lui resta un’impresa, vuol concludere la marcia in Kashmir. La regione che è di per sé una bomba geopolitica (per i contrasti col Pakistan), sociale (perché è fra le aree più povere), religiosa (la maggioranza è islamica, ma dal 2019 ha perso per volere del governo Modi l’autonomia di cui godeva). Occorre riconoscere a Rahul il coraggio di un’azione ciclopica, a metà strada, è in caso di dirlo, fra mito, fantapolitica e sogno. Mamma Sonia già applaude.

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