Akhilesh Yadav è il politico che pedala contro
l’odio. Quarantanovenne, col simbolo del suo partito (Samajwadi) che è una bicicletta, contrasta il premier uscente dell’Uttar
Pradesh, il più popoloso Stato indiano chiamato alle urne fra un mese.
L’avversario, il sacerdote hindu Yogi Adityanath, è un peso massimo
dell’intransigenza, un seminatore d’odio pronto a sostituire il leader Modi
alla guida del Bharatiya Janata Party
e anche del prossimo governo della federazione indiana. Lo scontro che si
prospetta nell’Uttar Pradesh può diventare la chiave di lettura per il futuro
nazionale del gigante indiano, sempre più al centro degli interessi d’una
geopolitica internazionale che concentra a oriente il fulcro della supremazia
globale. In quello Stato settentrionale indiano nel 2017 il Bjp ha rilanciato il suo progetto di
forza basato su un violento nazionalismo ideologico-confessionale con cui
cementa il consenso dell’elettorato anche davanti alle controversie
economiche dell’ultimo biennio. Dovute alla pandemia, ma pure all’incapacità del fazioso ceto dirigente di
cui Modi si contorna di pianificare e organizzare adeguatamente un processo di redistribuzione
di ricchezze, che possono diventare ondivaghe per il Pil del Paese se si
concentrano nelle mani di lobby ristrette ed egoisticamente chiuse. Yadav s’è
formato in una Scuola militare, poi ha studiato ingegneria ambientale. E’ figlio
d’arte, suo padre l’ha preceduto alla guida del gruppo, il giovane è entrato
nella Camera bassa (Lok Sabha) nel 2000 e ha assunto la leadership della
formazione Samajwadi un decennio fa.
Si tratta d’un partito locale, di orientamento socialista tendenzialmente
pacifista, con trent’anni di vita, non certo una potenza come il Partito del
Congresso e soprattutto l’attuale gigante indiano del nuovo millennio: il
partito hindu. Eppure uno sgambetto al Bjp
questo raggruppamento lo fece proprio sotto la direzione di Akhilesh Yadav,
diventato nel 2012 premier dell’Uttar Pradesh.
Nelle prossime settimane agli elettori del popoloso Stato non
potrà chiedere l’impossibile: rovesciare la percentuale che cinque anni fa ha
visto il partito di governo far man bassa di seggi: 325 su 403. Però offuscarne
una progressione che sembra incontrastata forse sì, com’è accaduto nella primavera 2021
nel Bengala occidentale, dove un gruppo locale, Trinamool Congress, ha fermato un successo dato per scontato dai
vertici del Bjp. Nel Pradesh il
popolo islamico s’attesta al 20% del totale, dunque 40 milioni di uomini e
donne che nell’ultimo biennio, se non sono finiti sulle pire della cremazione
dopo il decesso per Covid, hanno visto bruciare dal radicalismo hindu i loro
banchetti d’ortaggi e chincaglierie o la propria rivendita di carne. Oppure sono state molestate e assalite da
azioni ben peggiori del ‘Bulli Bai’, l’umiliazione sui social subìta da ragazze
musulmane da parte di fondamentalisti hindu. Certo, il monaco arancione farà di
tutto perché non ci siano intoppi, quest’elezione ha per lui un valore assoluto.
Il risultato interno avrà un gran peso nella sua scalata al vertice del partito,
che nonostante i malumori di altri esponenti è considerata probabile anche
perché quest’ultimi abbandonano il Bjp anziché contrastare l’ala estremista
dell’hindutva. Una conduzione di
Adityanath traccerebbe solchi assai più profondi di quelli che segnano
l’attuale già accesa furia confessionale hindu, scagliata mesi addietro anche
contro i cristiani, accanto all’ostracismo anti islamico. Proprio nell’Uttar
Pradesh questa comunità mentre pregava all’aperto, pratica consentita dalla
legge, era rimasta vittima di aggressioni di gruppi paramilitari
hindu, spesso sotto gli occhi indifferenti della polizia. E uomini pubblici, come il monaco-premier
Yogi, continuano a predicare contro il cosiddetto ‘love jihad’, con cui viene
bollata la possibilità d’incontro e relazione fra giovani di fede hindu e
musulmana. A suo dire è un subdolo sistema per praticare conversioni religiose
forzate. La forza dell’amore è, dunque, schiacciata dal potere. Un potere fazioso
che cresce a dismisura.
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