Nei mesi scorsi, mentre l’apparato militare e politico afghano
diretto da Ashraf Ghani implodeva a vantaggio dei taliban, presso la Corte
Penale Internazionale (ICC) che si occupa, fra gli altri, dei crimini di guerra
in quel Paese, era in corso un avvicendamento. Fra febbraio e giugno scorsi la
giurista gambiana Fatou Bensouda veniva sostituita dal collega Kharim Khan. Quest’ultimo
è un giurista britannico di fama, impegnato nella Corte per molti anni con
investigazioni sui crimini nella ex Jugoslavia, su quelli dei tragici eccidi
ruandesi e ultimamente nei territori del Daesh. Si dirà: in certe sfere un
giudice vale l’altro. In linea di massima sì, però per i misfatti afghani
accade qualcosa. Sino al 2016 la
giudice Bensouda aveva posto l’accento sull’ampia gamma di delitti commessi da
talebani e dal network di Haqqani contro civili, personale di progetti
umanitari, avversari politici e militari. Sulle prigionìe da loro inflitte ai
nemici, sulla deprivazione di libertà e la persecuzione verso gruppi civili ben
identificati: donne ed etnìa hazara. La magistrata svolgeva indagini anche
sulla Cia e sulle unità speciali Nato, autrici di rapimenti cruenti con uso di
tortura e stupro, oltraggio alla dignità personale, realizzati per una lunga
fase: dal maggio 2003 al dicembre 2014. In pratica l’intero percorso della
missione Enduring Freedom. Se un buon
numero di quelle operazioni compiute da militari americani risalgono al biennio
2003-2004, negli anni seguenti è cresciuto il coinvolgimento in tali pratiche
di reparti del National Directorate
Security, e con esso di Forze Armate, Polizia, Polizia di Frontiera del
governo di Kabul, tutti formati e addestrati dalla Nato.
Gli accertamenti condotti da Bensouda terminano nel 2017, periodo
in cui cresceva l’escalation sanguinaria dell’Isis-Korasan diretta a seggi
elettorali, scuole, moschee, e concentrati nelle provincie di Kabul e
Nangarhar. La linea che Khan vuole
seguire riguarda proprio questi massacri praticati da talebani e dell’Isis-K,
che a suo dire sono più gravi di ogni altro, proprio perché rivolti a donne, ragazze,
bambini anche con esecuzioni extragiudiziarie. Secondo gli analisti dell’Afghanistan Network tali considerazioni
possono avere un peso nel nuovo corso dell’ICC. Negli anni passati il governo
afghano era intervenuto presso la Corte Internazionale chiedendo di poter
svolgere proprie indagini. Si era trattato solo di un pronunciamento. All’ICC
sapevano che la presunta volontà di Ghani d’avviare ricerche sui crimini di
guerra talebani risultava mendace. La casta dirigente, corrotta e collusa con
altri criminali – i warlords – prendeva tempo, cercando di celare anche sue
responsabilità delittuose, svolte dai propri apparati d’Intelligence in
obbediente relazione con la Cia. Dal 15 agosto scorso le leve del potere a
Kabul sono in mano agli studenti coranici – una delle componenti indagate – che
ovviamente non attivano né attiveranno alcuna indagine. Pensare che i taliban
tornati al potere permetteranno azioni penali contro i reati da essi stessi
commessi è utopistico. Si sa che costoro, finora, hanno attuato processi poco
più che sommari contro miliziani dell’Isis e membri dell’esercito di Ghani.
Egualmente è difficile pensare a processi domestici negli Usa per
membri dell’esercito americano. Già si è visto come l’amministrazione Obama,
pur vietando l’uso delle torture che il predecessore Bush aveva acconsentito
durante le detenzioni illegali, non ha improntato alcun procedimento verso
quegli illeciti, definiti addirittura ‘patriottici’. Nella cronaca nera di
simili gestioni, uno dei casi venuti a galla riguardava Gul Rahman, lasciato
morire congelato nel novembre 2002 in un luogo di detenzione (Salt Pit) creato
dalla Cia a nord di Kabul. Al suo insediamento Khan si domandava se può
esistere una scala di valore che indica i crimini del fondamentalismo islamico
peggiori di quelli americani. Certo è che la precedente gestione, impegnata a
scavare sulla guerra sporca del Pentagono ha subìto dall’amministrazione Trump
forti pressioni per azzerare quell’orientamento. Ora c’è chi teme possibili
attacchi jihadisti ai membri della Corte Internazionale e a chi collabora con
essa, testimoni in primo luogo. Documenti raccolti dall’Unama evidenziano azioni illegali di polizia ed esercito afghani
durante l’amministrazione Ghani. E si può risalire anche a un decennio
addietro, alla seconda presidenza Karzai. Nei Palazzi lasciati in tutta fretta
dai filo occidentali, l’attuale esecutivo talebano può avere accesso a rapporti
riservati da cui ricavare informazioni in merito. Chissà se i vertici coranici daranno
seguito alle scoperte o le useranno come materia di scambio per lenire proprie
colpe.
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