giovedì 18 dicembre 2025

Liquidazione

 


Se il passo della tempesta è tumultuoso, quello dell’acqua che circonda e inonda può essere subdolo. Procedere con rapida lentezza capace a un tratto di sommergere quel che trova, beni ricchi e povere cose. E lì l’unica ricchezza è la voglia di sopravvivere. Un desiderio minato da tempo dai nemici di questo popolo strappato da case frantumate con le bombe in modo più sprezzante e perfido di quello che a volte la natura riserva al genere umano. D’umano non c’è niente nel confine militarizzato dei confini violati, un limite che impedisce l’arrivo anche di gocce d’acqua buona per dissetare, facendo intanto scorrere torrenti di sangue. Per mesi è stato solo sangue e polvere, sete e morte. Ora il dio di chi prega e di chi non lo fa manda pioggia, e pioggia, e pioggia.  Coi detriti trasformati in melma viscida e l’acqua sporca che corre fuori e dentro tende stendate, strappate come gli abitanti gazawi, svolazzanti alla luce e al buio. Le mani che muovono barattoli di fortuna non svuotano, non possono farlo, canali creati dal maltempo malevolo. Eppure ci provano. Sono le minute palme infantili, le braccia stanche di adulti affranti da sfratti forzosi, da fughe obbligate, su e giù per quella Striscia un tempo prigione ma comunque casa, e ora campo nella peggiore accezione offerta dalla Storia. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie…” no, si sta molto peggio. Perché non si è soldati obbligati alla guerra. Si sta in una disgraziata trincea già da neonati, perché c’è chi ha deciso che la vita, tua, non conta nulla, non deve continuare ed è meglio che tu, tua madre, la tua famiglia vi togliate di torno. E utilizza ogni strumento perché questo accada, meglio se definitivamente. Ora che giunge un inverno più ostile dell’anno passato, s’usano pioggia e freddo per accelerare quello che tanti definiscono genocidio, e che i depositari del Genocidio con la maiuscola negano esistere. Non lo è. Non può esserlo, anche davanti a Rahaf che crepa d’ipotermia, come dicono i dottori, visto che a otto mesi un cuoricino non continua a battere se il corpo è bagnato e immerso nel gelo. Ma Rahaf è già un numero aggiunto ai tanti, trenta, quarantamila bambini seccati mese dopo mese da una persecuzione chiamata “sicurezza”. Bambini stroncati con ogni mezzo, militare e non, totalmente incivile, subdolo, spietato. Israeliano, per quello che Israele mostra di sé. E ora l’acqua. Quella caduta dal cielo che diventa putrida se ristagna, diffonde malattie presenti da due anni per l’impedimento di far passare medicine oltreché cibo. L’acqua che sommerge e liquida, portando via la vita ai più deboli, per una liquidazione oggettiva dei corpi e del futuro. Quasi nessuno ricorda, pochi denunciano. E anche questo non smuove il mondo. Nell’ecatombe il comico palestinese Mahmoud Zuaiter trova lo spazio per una battuta. Dice che se nessuno s’è mosso quando i piccoli annegavano nel sangue, figurarsi se lo farà davanti a quelli che annegano nell’acqua. Riso amaro. Così è.

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