Quel che resta delle città, del modello di città, se
non ideale come nell’Umanesimo, della città del genere umano e dunque umana, è praticamente
nulla. Tutto diventa supermarket assoluto, fatto di compere e scarti, per quelli
che possono spendere, tanto o poco non importa, l’importante è consumare. Viviamo
nelle città della consunzione delle idee, non certo degli ideali seppelliti dagli
amministratori se mai ne hanno avuti. Chiedete a certi sindaci “illuminati” che
gestiscono il carillon delle nostre belle città, quali sono i progetti nel
paniere. Risponderanno: riqualificare. Ma delle riqualificazioni in corso, cui il
cittadino ben felice dà il benvenuto se si tratta di metrò attesi da cinquant’anni,
e lo darebbe pure ad abitazioni a prezzi calmierati, appare ben altro. Piani e
progetti che pongono sopra ogni cosa la città del cemento. Privato e costoso. Costosissimo.
Come gli ‘edifici boscosi’ per una verbosità immobiliare che ridisegna angoli
urbani rimasti spogli per decenni, proponendo solo un mercato edilizio del
lusso e dell’ultra lusso. La nuova veste dell’Italia da rilanciare, a suon di edificazioni
e delle solite tangenti (che per gli uomini d’impresa e i politici sodali sono
il male minore) segue uno schema trito ma riprofumato: creare con magniloquenti
cubature terra-cielo spazi urbani dove si sta già stipati, come nel traffico
nelle ore di punta. Una progettualità ingombrante che produce altro traffico, a
meno che il bravo assessore alla mobilità, disegni improbabili piste ciclabili
larghe poco più d’un metro e ovviamente a doppia viabilità, predisposte pure
per podisti e pedoni. Nella capitale d’Italia funziona così. Infatti i ciclisti
lamentano più incidenti su alcune “ciclabili” che per le ordinarie vie. Lì, certo,
si rischia la vita visto che i Tir (non quelli funzionali ai lavori pubblici, i
Tir del commercio e dello smercio) transitano ovunque, mentre i furgoni dei santificati
prodotti caricano e scaricano in tutte le ore del giorno, alla faccia dei
vigili urbani che di per sé se ne infischiano poiché semplicemente non
stazionano per strada. Al più vagano sulle auto di servizio, qua e là per la
città. E c’è un’altra Grande Bellezza che la tipologia di assessore-imprenditore,
in vari casi funziona così ma dicono non si tratti d’un conflitto d’interessi,
predispone per la gioia e la sfiga di chi abita nelle metropoli italiane: l’affarismo
turistico. Programmando un futuro glorioso dove gli abitanti ordinari servono a
pagare addizionali e recarsi alle urne, per il resto possono fare da spettatori
alle metamorfosi pensate dai signori assessori: filiere di mangifici e
aperitivifici, overdose di pullman e carovane di noleggiatori parcheggiati un
po’ ovunque, anche dove il tassista di per sé protetto non può sostare. E
ovviamente eventi. Ogni tipologia di sfilata modaiola, canora, folklorica poiché
la metropoli tentacolare diventata spettacolare deve roteare e stupire ben
oltre un fuoco d’artificio barocco. Deve stordire e far girare denaro. Per chi
può spendere e godere del grande Luna Park inventato, gli altri azzittiti a
guardare. E guai ai vinti, rintanati in qualche occupazione alternativa. Pensare
e agire in modo non conforme, né schierato e incardinato ai piani dell’omologazione,
è oggettivamente pericoloso. Essere pensanti, autonomi, autosufficienti nella gestione del tempo e della
vita è peccaminoso. Non c’è spazio per l’askatasuna di creature libere.

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