Cinquant’anni di vita trascorsi a recitare, condurre artisticamente, documentare, testimoniare in maniera nonviolenta le violenze dello Stato dove viveva. Se ne va a settantadue anni Mohammed Bakri, attore e regista nato a Bi’ina, cuore arabo della Galilea che il suo cuore non più ha retto per la deriva presa dalla lacerazione dell’amato popolo palestinese. Una deriva iniziata prima della nascita di Bakri che lui aveva saputo raccontare e interpretare. Partendo dal basso, ultimo nato in una famiglia biblica, numerosissima e umilissima, con dodici fra sorelle e fratelli cresciuti da una casalinga e un tagliatore di pietre. Mohammed riuscì a studiare, a laurearsi in arte drammatica, poi poco più che ventenne mise su una famiglia propria con la moglie Layla e una prole di sei figli. L’esposizione dei fatti, l’interpretazione dei drammi collettivi e personali hanno rappresentato il bagaglio con cui ha messo talento e dedizione al servizio della causa d’una popolazione soggiogata. Fra i vari film, i tanti volti plasmati, due opere restano nella memoria degli spettatori: il documentario Jenin, Jenin (2002), e la pellicola Private (2004). La prima opera mostra gli effetti della devastazione dell’omonimo campo-profughi da parte dell’esercito israeliano nei primi dieci giorni dell’aprile 2002, durante la Seconda Intifada. Bakri s’infilò fra gli abitanti di baracche e abitazioni dopo l’assalto di Tsahal capace di produrre un numero imprecisato di vittime. Le versioni palestinese (centinaia di morti), delle Nazioni Unite (cinquecento), di Human Rights Watch (oltre cinquanta) divergono parecchio, Israele s’è sempre guardato dal fornire dati. Però lanciò una campagna contro il lavoro del regista che raccoglieva i ricordi dei sopravvissuti. L’accusa era quella d’un servizio alla propaganda di parte, così sul film calò la censura mentre Bakri, accusato di antisionismo fu citato in giudizio da alcuni militari attivi nell’operazione a Jenin. In alcuni Paesi, fra cui l’Italia, il documentario venne proiettato informalmente, ma non ebbe la divulgazione che meritava. Poi nel 2020 un funzionario e un colonnello israeliani, riaprirono le ostilità legali chiedendo un indennizzo al regista accusato di diffamazione e la diffusione del filmato venne ancora una volta interrotta. In Private, del regista italiano Saverio Costanzo, Bakri presta il volto a un professore palestinese che con la famiglia abita una casa finita interposta fra un villaggio di conterranei e una recente colonia ebraica. Quell’edificio diviene un obiettivo dell’esercito di Israele che va a occuparla, tagliando vita, emozioni, sentimenti, spazi ai legittimi abitanti e proprietari. Nel microcosmo familiare si ricrea la condizione di privazione, subalternità, abuso che gli abitanti dei villaggi hanno conosciuto sul proprio territorio già agli inizi del Novecento con la diffusione del sionismo. Per poi vederne l’esplosione con la creazione dello Stato d’Israele e subendo, decennio dopo decennio, la subdola tattica degli insediamenti coloniali, altra faccia dell’occupazione. Mentre la presenza piena dell’attore Mohammed, il suo volto scarno e vivissimo, profondo e amaro anche nei momenti di radioso sorriso per quel che sapeva divulgare con professionalità e coscienza, mancherà al popolo palestinese e mancherà al pubblico. Entrambi comunque non ne dimenticano la forza d’animo, quella che i militari e i politici d’Israele hanno sempre temuto.

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