Vista dalla Casa Bianca - non tanto quella infetta di Trump che
deride la pandemia, ma quella dei think tank sempre attivi al di là di chi è e
sarà l’inquilino - la crescente tensione sul confine himalaiano fra Cina e
India rappresenta un’occasione ghiotta. Al tempo stesso produce un grande avversario
per il proprio nemico ideologico, diventato ancor più ingombrante nemico
economico. I rapporti fra New Delhi e Washington hanno più o meno vent’anni di
diplomazia attiva, da quando Bill Clinton volò verso quei meridiani. Alla
nascita l’India moderna si definiva socialista, durante la Guerra fredda Nerhu
collocava il Paese nel blocco dei “non allineati” e la partnership scelta dai
governi statunitensi sosteneva il Pakistan avverso agli indiani, mentre Mosca
sorrideva a quest’ultimi. Le due nazioni asiatiche ricevettero dai loro padrini
i materiali e le credenziali distruttive dell’arma atomica. E tuttora li
conservano. Questo genere di ‘tesori’, al pari delle relazioni internazionali,
sono tenuti in gran considerazione dal Pentagono che gestisce una buona fetta
della politica estera americana. In tale prospettiva se la tensione fra i
giganti asiatici si sposta dai mercati all’apparato della forza ecco che i
generali della Virginia aguzzano occhi e menti per elaborare piani strategici.
In questo caso si tratta di un riciclo, una formula usata più di una decina
d’anni addietro, all’epoca di George W. Bush, che ipotizzava un arco di
democrazia asiatica fra Giappone, India, Australia e Stati Uniti. Quest’ultimi
non si trovano propriamente in quel grande continente ma per tanti aspetti
intenderebbero controllarlo o piegarlo come facevano all’epoca delle bombe su
Hiroshima. Un’idea di patto della sicurezza fra alcune potenze in opposizione
alla Cina. In quella fase (2007) l’India rimase riluttante all’idea e al corteggiamento
di Washington. Col premierato di Modi la situazione è diversa, per il suo
approccio aggressivo interno e, dalla vicenda della regione di confine, anche
internazionale. Perciò alla Casa Bianca pensano di battere su questo ferro
caldo, l’idiosincrasia verso la Cina, che costantemente in varie epoche ha
visto in prima fila il Giappone, può trovare un nuovo alleato nel primo
ministro indiano e hindu.
Il suo nazionalismo radicale, la repressione delle
autonomie locali, la discriminazione degli islamici vengono considerati segnali
positivi per un’aggregazione nel ‘quadrilatero asiatico’ di fabbricazione
statunitense. Se quest’accordo potesse sviluppare anche un’alleanza militare nell’area
indo-pacifica si raggiungerebbe la quadratura del cerchio, così la pensano al
Pentagono. Intanto il ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha
incontrato a Tokio il Segretario di Stato Pompeo che sta girando il mondo per
varie questioni. Precedentemente era passato per Roma, polemizzando a distanza
col papa che non l’ha ricevuto. Anche più d’un politologo indiano crede che
l’avvicinamento del governo di Delhi a quest’alleanza sia possibile dopo i
contrasti nel Ladakh (la zona d’alta montagna contesa). E quando gli Usa
affrontano temi geostrategici di conseguenza s’apre il campionario delle
proprie forniture militari, nell’anno in corso l’India acquisterà armi per 20
miliardi di dollari, potrebbero non sembrare molti ma nel decennio precedente
queste commesse non esistevano. A Washington e Arlington hanno benedetto la
continuità politica che gli indiani stanno offrendo a Modi, quando di recente
hanno stretto un accordo con l’amministrazione delle isole Maldive per una
presenza militare Usa in funzione anticinese. Finora nessun governo e nessun
partito indiano aveva accettato militari stranieri tanto vicini ai propri spazi
vitali. Grandi associazioni a difesa dei diritti umani sollevano proteste
contro l’ipocrisia del governo americano, giustamente pronto ad accusare la
Cina di calpestare simili tutele mentre non si cura di comportamenti e leggi
dell’amministrazione Modi, che pone repressione e intolleranza alla base
del proprio programma. Queste ong potrebbero anche chiedere alle istituzioni d'America cosa accade da mesi sulle strade di quel Paese.
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