sabato 9 maggio 2020

Turchia combattuta fra la pandemia sanitaria ed economica


Vive il suo secondo week end blindato per il coronavisrus la Turchia di Erdoğan. Il precedente c’era stato l’11-12 aprile. Tutti in casa in ventiquattro province e nelle maggiori città nonostante le carezze della primavera.  La popolazione è stata “carezzata” dalla pandemia in maniera meno intensa d’altre nazioni, specie d’Europa. Aspetto favorito dalle strutture sanitarie decentrate che hanno realizzato test e tamponi sui primi focolai d’infezione. Attualmente i contagi s’avvicinano ai 130.000 casi, i ricoveri hanno superato gli 86.000, i decessi sono contenuti in 3.700, sebbene alcuni critici facciano notare come il numero delle vittime comprenda solo chi è risultato positivo al test virale. Esistono, però, due fasi della pandemia turca, l’iniziale contenimento condito di profilassi sanitaria, e un’espansione successiva (e tuttora galoppante) dovuto alla necessità economica che ha visto il Paese continuare diverse attività produttive. Sia quelle legate ai mega progetti lanciati dal presidente per il centenario della nazione che cade nel 2023, sia le attività con cui sempre Erdoğan ha pensato di tamponare una situazione interna in crisi già un anno prima che scoppiasse la pandemia mondiale. 

La perdita di valore della lira turca nei confronti del dollaro è cosa nota, e la dispendiosità dei citati progetti (nuovo ponte sul Bosforo, raddoppio del canale sul Mar Nero, le spese già effettuate per la linea euro-asiatica, quelle del nuovo aeroporto İstanbul Yeni Havalimanı e le attuali per dotarlo di metropolitana verso la città che dista 50 km) pone le casse statali in debito visto che i ricconi amici-finanziatori dei sogni del Sultano non sono più numerosi come un tempo. Finora lui ha orgogliosamente escluso domande di prestiti al Fondo Monetario Internazionale sia perché col numero uno di Washington non corre buon sangue, sia perché sa che quell’organismo chiede contropartite politiche a ogni allargamento di borsa. Ma per far da sé ha imposto un sacrificio alla sua gente: lavorare durante la fase pandemica, che è pandemia virale ed economica al tempo stesso. Perciò avere la concorrenza edile, navale, manifatturiera ferma un po’ ovunque per alcune settimane poteva dare ossigeno alla produttività turca, peraltro sempre fiera e dedita al lavoro e al suo export. Per questo Erdoğan non ha usato e maniere forti. Non s’è mostrato in pubblico ma in video, col buon senso del buon padre. Ha provato a bilanciare aperture e chiusure, ha tenuto ferma la filiera turistica (anche per totale assenza di arrivi) perciò hotel, ristoranti, bar, piccoli esercizi hanno dismesso le attività fra marzo e aprile. Non l’hanno fatto gli impianti di costruzione, i cantieri navali, le fabbriche tessili. Per ora la scelta ha pagato sul fronte della popolarità. Sondaggi, non di parte, gli attribuiscono nuovamente un gran consenso, salito addirittura al 60%.

Però da almeno due settimane ha ripreso a salire anche la curva infettiva e i casi di contagio si registrano soprattutto fra gli occupati dei comparti tenuti aperti. Così, parlando fuori dai denti, il presidente dell’Unione lavoratori della costruzioni ha chiesto di bloccare i cantieri, poiché le misure di sicurezza sanitaria sono inesistenti fra chi lavora gomito a gomito. La Confederazione dei sindacati ha stilato un rapporto, sostenendo che indagini sugli iscritti impegnati in questo periodo, evidenziavano casi di ritorno dell’infezione sulla stessa persona colpita e guarita. Tutto ciò rappresenta un pericolo sociale evidente. Già tempo addietro aveva scioccato il caso del dirigente sindacale collassato sulla banchina del nuovo porto di Galata, il più costoso progetto di tutta l’innovazione del fronte mercantile del Bosforo. L’uomo risulta fra i deceduti per Sars CoV2, essendo stato testato in ospedale. D’altro canto sul mercato del lavoro interno gli occupati senza contratto sono i più vulnerabili, se tutto chiude essi non mangiano. Ma ormai anche le categorie dei commercianti tenute forzatamente ferme sono sul piede di guerra. Accanto al virus fanno paura debiti e mancati introiti. Il paso doble, del presidente con aperture e chiusure alternate, potrebbe continuare nonostante i rischi sanitari. E’ l’ennesimo azzardo che l’uomo delle sfide impossibili intende praticare per giungere politicamente indenne al fatidico centenario.

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