venerdì 6 febbraio 2015

Donne islamiche, il decalogo e la battaglia del Daesh

Non solo barbuti tagliagole, esaltati dalla purezza della propria giusta figura di combattenti, anche le donne miliziane fanno l’ingresso nell’organizzazione e nel Jihad del Daesh. Secondo un report recentemente reso noto dalla rete mediatica dell’Isis, che pubblicizza miliziane in niqab intente a imbracciare mitra, anche alle donne spetta un ruolo nello scontro con l’Occidente. Il documento spazia su vari temi. Informa che già all’età di nove anni la bambina può prendere marito, per quanto l’età ideale è attorno ai 16-17. Non dovrebbe farsi corrompere dall’attività lavorativa perché il loro regno è la casa che devono lasciare solo in circostanze eccezionali. Quindi la raccomandazione principale: per la donna è sempre preferibile rimanere celata e velata, tenendo la società dietro il proprio velo. Ovviamente moda, negozi, saloni di bellezza sono tacciati quali diavolerie del mondo. Il manifesto circolava già da qualche tempo in un forum jihadista in lingua araba ed è anche diffuso dall’ala mediatica della brigata al-Khansaa, una delle milizie femminili dello Stato Islamico dove potrebbe essere inquadrata l’ormai famosa moglie di Coulibaly.

Il report si concentra non su imposizioni dettate, ma sui “desideri”, sul ruolo da seguire da parte delle ragazze islamiche, sulla loro esistenza da santificare. E quindi: dai sei ai nove anni le attende la comprensione della religione attraverso la disamina scritta e orale del Corano, senza comunque tralasciare lo studio di scienze matematiche e naturali. Dai 10 ai 12 anni ci sarà un maggiore approfondimento della materia religiosa riguardante il proprio genere su matrimonio e divorzio. Non vengono escluse le abilità domestiche attinenti a cucina e cucito. Dai 13 ai 15 anni verrà maggiormente focalizzato il tema della Sharia, quindi la storia dell’Islam, la vita del profeta e dei seguaci e ci si soffermerà sul ruolo che compete alle future madri: l’accudimento della prole. Indirettamente si fa riferimento agli uomini, che attorno ai vent’anni compiranno scelte familiari per una società giovanile e gloriosa. Segue un discorso critico sul modello occidentale, considerato fallito, con le donne impegnate al lavoro che ne corrompe idee e ideali, e si sberleffa il sistema infedele che avrebbe “liberato” le donne dalla prigione domestica.


Dura condanna dei miscredenti europei, sconfessando le falsità della loro civiltà materialistica. L’obiettivo della comunità islamica non sarebbe raggiunto provando a scoprire i segreti della natura e i picchi della sua articolata architettura, dovrebbe semplicemente attuare la Sharia e le sue leggi. Una parte del documento prende di petto quello stile occidentale che incoraggia donne e uomini a realizzarsi col lavoro. E denuncia le mode di abbigliamento e comportamento (l’uso dei piercing), definendo questa modernità una presenza infernale ben riscontrabile nella catena commerciale e pubblicitaria. Per le donne l’esempio da seguire consta in una vita familiare con marito e i figli, esse possono lasciare il circolo domestico solo per circostanze particolari, mettendosi al servizio del Jihad quando non ci son più uomini disponibili, e per determinate funzioni (quale medico o insegnante), seguendo però strettamente i dettami della Sharia. Ultima precisazione: la condizione domestica femminile non presuppone arretratezza e ignoranza, si fa distinzione fra il lavoro fuori dalla propria casa e lo studio, che è auspicabile per lo stesso genere femminile.

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