Ora che Patrick George Zaky, lo studente egiziano
specializzando presso l’Università di Bologna risulta incastrato nel perverso
sistema studiato dalla giustizia del suo Paese, che in ogni semestre, o anche
meno, aggiunge un tassello repressivo a
presunti accusati di “terrorismo antistatale”, la democratica Unione Europea
sembra svegliarsi dal colpevole torpore, applicato pervicacemente per anni
verso taluni attacchi ai diritti umani. L’ha fatto col nuovo presidente,
l’italiano David Sassoli. Un giornalista
prestato alla politica, europea per l’appunto, con l’ingresso nel parlamento di
Bruxelles nel 2009, cui è seguito la scalata alla prestigiosa carica di
rappresentanza. Sassoli s’è speso per la vicenda Zaky, dichiarando che l’Unione
“deve condizionare i suoi rapporti con
nazioni terze al rispetto dei diritti umani”. Le Istituzioni del Cairo,
tramite il presidente del parlamento locale, Abdel Aal, hanno immediatamente
reagito, definendo le dichiarazioni del presidente Ue “un’inaccettabile interferenza”. Nella piccata risposta, uno degli
uomini-regime di Al Sisi involontariamente s’incarta, affermando: “L’imputato gode di pieni diritti, come gli
altri arrestati, senza discriminazioni”, che non è proprio quel che accade
agli imputati egiziani, da troppi anni. Peraltro, ora le condizioni peggiorano:
il regime militare e il suo presidente simbolo, introducono un inasprimento
della legge già in vigore sul terrorismo che prevederà pene estreme: ergastolo
e condanna a morte.
C’è da tener presente che, come ultimamente Zaky sta purtroppo
provando sulla sua pelle, l’orientamento del governo punta a considerare
“terrorista” qualsivoglia manifestazione non solo di dissenso o di contrarietà
a ciò che nel Paese accade dal golpe bianco del 2013, ma ogni riferimento di cronaca e di commento delle
vicende interne. Sia fatto da addetti all’informazione, giornalisti, o da
blogger e da semplici cittadini sui social media o per via. Tutti controllati, sul
territorio egiziano da agenti ordinari o mukhabarat, e da altri “osservatori” pure
nei canali virtuali del web; visto che certe accuse mosse al dottorando,
catturato mentre rientrava in patria per una visita ai familiari,
riguarderebbero proprio sue espressioni comparse sui social media. Nel primo
incontro coi magistrati Zaky le ha smentite, sostenendo come il profilo in
questione non sia un suo frutto. Ma al di là della linea adottata dalla difesa,
e le posizioni della famiglia Zaky che puntano a tener fuori il giovane da paragoni
mediatici col drammatico caso Regeni, quest’ennesima vicenda ha l’amarissimo
sapore che altri giovani (attivisti, giornalisti, studenti e studiosi) egiziani
e il ricercatore italiano Giulio Regeni
hanno vissuto negli anni passati. E la società civile che si stringe attorno a
Zaky per cercare di evitargli il peggio (che ovviamente non dev’essere
l’orrenda fine che i “Servizi di sicurezza” del Cairo hanno riservato a tanti),
ma anche la trafila della galera infinita, è un passo importante per
risvegliare dall’indifferenza i grandi assenti del mal d’Egitto.
Costoro sono innanzitutto i politici, italiani ed europei,
cui il regime di Sisi fa comodo. Fa comodo ai loro affari, economici e
geostrategici, che riguardano gli armamenti da vendere perché il Cairo duetti
con gli uomini forti in azione in Medio Oriente, si chiamino bin Salman o Haftar.
E se serve Erdoğan e Asad, due satrapi che da anni muovono le proprie armi
contro le loro minoranze e anche la propria gente. Non solo una bella fetta
della politica nostrana ed estera se ne frega di quel che le accade attorno e
ancor più dei diritti civili. La stessa cittadinanza, la gente comune non s’era
finora allarmata per quel che accadeva ai Regeni d’Egitto nelle prigioni speciali
dove si entra il piedi e si esce distesi. Oppure non risulta neppure d’esser crepati. Poiché dei Morsi
padre, l’ex presidente perseguitato, e figlio, entrambi deceduti per collasso
in galera, bisogna giocoforza dare un’informazione, seppure laconica. Delle
centinaia, forse migliaia, di egiziani deceduti per violenze o malattie e
stenti nelle celle e nelle camere di tortura si può tacere. E di conseguenza tacitare
gli avvocati dei diritti che provano a ricercarli, ma in tanti casi non sanno
neppure chi e dove. Se quest’Egitto - che esiste dall’agosto 2013, quando tante
anime belle della sedicente “seconda rivoluzione egiziana” che spazzava via il
governo della Fratellanza osannavano la democrazia dei militari - verrà
considerato non un affidabile partner, bensì un persecutore dei suoi figli,
solo allora giovani come Zaky potranno sperare di poter tornare a vivere.
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