Che fine hanno fatto le presidenziali afghane? Si sono arenate nei
conteggi. La Commissione Elettorale Indipendente ha diffuso i numeri dei voti
validi che ammontano a 1.843.107 sull’iniziale quota di 1.929.333. La tendenza evidente
già in prima battuta era il crollo della partecipazione scesa a poco più del
20%, visti i circa 10 milioni di potenziali elettori. Ora sono state cancellate
86.000 preferenze giudicate errate o false, in che modo ci sarebbe da scoprirlo,
visto che gran parte dei presunti cinquemila seggi adottavano il sistema di
controllo biometrico per chi si recava alle urne. Uno dei candidati in corsa
per la presidenza, il premier uscente Abdullah, ha innescato l’ennesima polemica
con la commissione per la presenza di 137.000 voti, inizialmente posti in quarantena
per sospetti vari d’irregolarità, e successivamente conteggiati. Questi voti
potrebbero rientrare fra quelli giudicati nulli, però resta sempre una
sperequazione di 50.000 voti che dopo uno stop iniziale sarebbero risultati
buoni. Secondo i collaboratori di Abdullah il blocco dei 137.000 voti sospetti sarebbe
giunto alla Commissione fuori tempo massimo, il giorno seguente la chiusura dei
seggi. Il gruppo di sostegno al premier - che già nel 2014 contese a Ghani il
massimo incarico nazionale, con tanto di contestazioni, minacce di spaccature
del Paese e anche peggio - ritiene che i voti da invalidare raggiungano la
quota di 100.000. Un buon 5% che non depone a favore di tutta la tecnologia
adottata proprio per evitare contestazioni sull’arretratezza dell’efficacia
delle operazioni. Da parte di Ghani si sostiene che se una falla iniziale c’è
stata, essa è stata sanata dal successivo intervento della Commissione. Con l’aria
che tira, il pronunciamento del voto può di certo produrre contrasti polemici,
sebbene non saranno quest’ultimi a minare una sicurezza ampiamente claudicante.
Nonostante il clima di paura d’essere coinvolti in attentati che ha
tenuto lontani dalla delega tanti cittadini, è l’intero sistema ad essere stato
contestato con la pratica dell’astensionismo. Come accade in altre pseudo
situazioni di “normalità” sostenute da governi fantoccio e dai burattinai
dell’appoggio internazionale, non recarsi alle urne ha sancito il radicale
distacco nel Paese fra la sua gente che muore fra attentati, bombardamenti
repressivi, carenze di aiuti e i potentati al governo, gli accaparratori di
fondi e loro alleati che sottraggono quelle risorse agli strati più bisognosi. Stanco
d’essere massa di manovra e di accrescere il flusso di migrazione forzata
oppure di arruolamento, egualmente indotto dalla miseria, fra le fila
dell’esercito o dei gruppi jihadisti, il popolo afghano che non accetta la
farsa s’è tenuto lontano dai seggi. Abbiamo ascoltato sul tema il parere di
Selay Ghaffar, portavoce del partito Hambastagi. “E’ stata enfatizzata la partecipazione femminile che, invece, rientra
nella media, una media piuttosto bassa. I seggi dovevano essere fra i 4000 e i
5000, in realtà sembra siano stati 2000, sebbene ciò non risulti dai dati
statistici che mantengono il profilo ottimistico della propaganda. Noi di
Hambastagi abbiamo sostenuto il boicottaggio, non solo per ragioni di
sicurezza, ma per ribadire la crescente coscienza fra la cittadinanza che ormai
comprende d’essere solo sfruttata da personaggi improponibili, criminali come
Hekmatyar che dovrebbero stare in galera non concorrere alla guida del Paese.
Abbiamo assistito al filone ritrito
dell’uso dell’etnìa per sostenere questo o quel candidato, abbiamo visto
quest’ultimi sbugiardarsi pubblicamente, accusandosi d’essere signori della
droga o asserviti alle Intelligence pakistana oppure iraniana. Purtroppo è tutto
vero, com’è vero che gli Stati Uniti influenzeranno la sedicente Commissione
Indipendente a dichiarare eletto il candidato che si mostra più
accondiscendente al progetto americano”. Così, ancora una volta.
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