giovedì 23 giugno 2022

Tunisia, gli effetti speciali della nuova Costituzione

Nel clima da uomo forte instaurato da un anno, nel disprezzo del Parlamento, sospeso e sciolto, l’autocrate mascherato da tecnico che gestisce col piglio poliziesco insito nel nomignolo che si trascina dietro - Robocop - ha studiato come apparire ‘democratico’ facendosi cucire una Costituzione conforme al presidenzialismo duro che sta già praticando. E’ Sadok Belaïd, ex docente della facoltà di Scienze giuridiche di Tunisi, a fornirla a Kaïs Saïed, gli ha consegnato la bozza il 20 giugno e il presidente la sottoporrà a referendum il prossimo 25 luglio, anniversario del colpo di mano con cui ha piegato al suo volere le Istituzioni tunisine. Dalle indiscrezioni provenienti dalla stessa commissione estenditrice delle nuove norme il percorso va in direzione diametralmente opposta dalle indicazioni scaturite dal pur travagliato percorso nazionale dell’ultimo decennio, scaturito dalla Rivoluzione dei gelsomini. Così la riscrittura della Carta offre il ‘la’ ai desideri dell’uomo che non deve chiedere, ma ha già ottenuto tutto. Dunque una subordinazione del governo al Capo di Stato, un inquadramento delle caratteristiche del Parlamento, l’introduzione di assemblee regionali elette a suffragio diretto e interessate allo sviluppo economico.  In un’intervista al quotidiano Le Monde il ‘pensatore’ delle nuove leggi fondative tunisine compie un triplo salto giro  scomodando i princìpi della separazione dei poteri di Montesquieu per considerarli superatissimi. Questi, dice l’ex docente, si fermavano ad arginare il potere per il potere, al nostro Paese serve altro: uscire dalla miseria e realizzare un piano di sviluppo.

 

Forse dimentica che il potere per il potere e il potere per l’arricchimento personale avevano condotto la nazione allo stato d’indigenza da cui partivano i moti di Sidi Bouzid e Kasserine, dopo i cinque lustri di spolpamento compiuto dal clan Ben Ali-Trabelsi. Della Costituzione del 2014 Belaïd dice che è stata una rovina e ha bloccato il sistema, mentre lui e l’attuale presidente pensano di arginare il “regime parlamentare” che condivide coi governi che si sono succeduti il potere. Ora, che gli esecutivi di Ennahda e gli esperimenti liberisti di Nidaa Tounes non abbiano brillato per trasparenza, né abbiano rilanciato l’economia è una tragica realtà sotto gli occhi di tutti, che la svolta autoritaria di Robocop potetto dall’esercito possa compiere il miracolo è una boutade, che però piace all’Occidente amante di certo autoritarismo. Eppure il monopotere viene giustificato anche da altre voci, come chi all’interno della commissione preposta alla riscrittura costituzionale vira decisamente contro ‘l’esecutivo bicefalo’ che frena le azioni del governo. Perciò il rappresentante di quest’ultimo dev’essere coeso con l’azione del presidente, cioè deve obbedirgli. Se passa la nuova riforma il premier verrà scelto dal Capo di Stato senza bisogno dell’Assemblea nazionale. Quest’ultimo passaggio rappresenterebbe il “rischio” da evitare. Se i deputati non gradiranno la ‘scelta governativa’ presidenziale possono censurarla, ma solo una volta, al secondo giro deciderà l’uomo forte: il presidente. Anche il Capo di Stato può revocare una sola volta il governo nominato da lui stesso, pena la decadenza dal ruolo. Ma gli esperti di diritto, e appunto l’estensore Belaïd, sanno che tale circostanza risulta difficile.

Dal cilindro della sua riscrittura spunta un organismo, il Consiglio economico, che affianca l’Assemblea nazionale con un ruolo non legislativo ma consultivo. Belaïd gli affida l’attivo compito di produrre avvisi, i deputati dovranno prendere in seria considerazione questi avvertimenti. L’altra creazione sono quattro Assemblee regionali - nord, sud e due al centro - direttamente elette che sostituiranno quelle comunali giudicate poco incisive per impulsi economici. Misteriosi quest’ultimi davanti a una finora inesistente strategia centrale. Lo slogan con cui si cerca di trascinare la riforma è buono per una réclame pubblicitaria: “far dialogare la gente del mare con quella del deserto”. Nei fatti, oltre alla presenza ancora di pregiudizi tribali, le stesse aree costiere un tempo sviluppate attorno al turismo hanno visto decrescere una normalità di vita e incentivato le fughe migratorie, in maniera non diversa dagli arretrati villaggi dell’entroterra. Per non farsi mancare nulla gli esperti costituzionali affrontano anche il primo articolo della Costituzione, presente dal 1959, che recita: “La Tunisia è uno Stato libero e sovrano, la sua religione è l’Islam” la cui interpretazione già da anni è oggetto di discussione se l’Islam sia religione dello Stato o della Tunisia. Per alcuni questione di lana caprina, ma altri la pensano diversamente. Ora si ventila che la task force di Belaïd per arginare derive interpretative del fondamentalismo islamico potrebbe far sparire l’articolo 1 dalla nuova Costituzione. Eppure questo quadruplo salto giro, mai visto su nessuna pedana ginnica, potrebbe essere stoppato proprio dal presidente che, quando non lo era, dichiarava “Se lo Stato non ha religione, l’Umma ne ha una, l’Islam, e spetta allo Stato farla rispettare”. Per continuare a fare l’uomo forte avrà bisogno anche d’un Islam politico in crisi, ma tuttora presente fra una buona parte dei dodici milioni di concittadini.

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