“Rispettare i simboli religiosi, azzerare i discorsi d’odio” dice un comunicato del ministro degli Esteri emiratino che ha costretto il governo indiano a prendere provvedimenti contro due membri del Bharatiya Janata Party. I questi giorni alcuni Paesi musulmani avevano ritirato il proprio ambasciatore da New Delhi e un numero crescente di nazioni islamiche s’univa al coro delle proteste contro Nupur Sharma e Naveen Kumar Jindal. Entrambi avevano spinto l’islamofobia di cui il raggruppamento del premier Modi trasuda, oltre i confini d’un fondamentalismo ben radicato fra gli hindu. Obiettivo il profeta Maometto. Così i vertici di Delhi sono stati costretti a muoversi, sospendendo la prima ed espellendo il secondo. Fra le monarchie del Golfo attive a sostegno delle proteste ci sono fornitrici di prodotti indispensabili all’economia industriale indiana, su tutti il Qatar col suo gas. E in una fase in cui il prezzo del prodotto è schizzato alle stelle per la destabilizzazione mondiale causata dal conflitto in Ucraina, inimicarsi certi fornitori può costare caro, in tutti i sensi, alla nazione indiana. Proprio il ministro degli Esteri qatariota bin Saad Al-Muraiki ha rimarcato la tendenza del partito hindu a lasciar correre “gli incitamenti all’odio religioso che offende i due miliardi di fedeli della Umma islamica”. Una prassi insostenibile afferma. “Sono proprio gli incitamenti all’odio provenienti dai politici del Bjp ad aver incrementato nell’ultimo decennio la polarizzazione del Paese a danno della coesistenza”. Il caso s’è ampliato in pochissimo tempo, dopo Emirati Arabi, Qatar, Arabia Saudita, Pakistan, molte nazioni musulmane, comprese Indonesia e l’Iran, si sono unite alle contestazioni vissute sul doppio terreno diplomatico e di strada. Fra le piazze più bollenti quella del nemico storico pakistano che, peraltro, raccoglie gruppi fondamentalisti (in questo caso islamici) presenti anche legalmente sulla scena nazionale, come i Tehreek Labbaik. Con la presa di posizione dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, in queste ore l’inquietudine è cresciuta. A un suo comunicato dalla sede di Jeddah che fa esplicito riferimento alle pratiche contro i musulmani del governo indiano, ha risposto per le rime il ministro degli Esteri di Delhi bollando l’OIC di “mentalità ristretta”. Altra benzina sul fuoco. L’impennata ideologico-teologica confligge apertamente coi reciproci affari che fra India e i Paesi della Cooperazione del Golfo nel biennio della piena pandemia 2020-2021 ha sfiorato la quota non indifferente di 100 miliardi di dollari. Per non parlare dei trasferimenti di lavoratori indiani e delle loro preziose rimesse. Eppure non sono stati solo i cartelli della faziosa militante Napur a finire sotto le scarpe dei manifestanti islamici, l’emittente Al Jazeera ha mostrato come in vari mercati kuwaitiani sono state accatastate pile di thè e altri prodotti del gigante asiatico, rimasti invenduti in segno di disgusto verso l’islamofobia di governo. Tranne tamponare goffamente e in extremis le blasfemìe ‘dal sen fuggite’ di membri di partito e addirittura ministri, i vertici del Bjp paiono sordi anche ai richiami di alleati potenti come gli statunitensi. In un recente viaggio in Oriente il Segretario di Stato Blinken, che sollevava il tema degli assalti a persone e negozi della comunità islamica indiana, si sentiva rispondere ufficialmente che la questione non era vera, e lui risultava disinformato.
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