venerdì 27 marzo 2020

Colloqui intra-afghani, presentata la delegazione


Il gruppo dei colloqui che stentano a partire per gli ‘stop and go’ imposti dall’estrema litigiosità dei presidenti-contro (Ghani e Abdullah), ma mai dire mai per le cose che riguardano l’Afghanistan, è stato formato e presentato alla stampa. Quindici uomini e cinque donne attesi al faccia a faccia coi rappresentanti talebani, una lista menzionata da Tolo tv che può dar luogo a considerazioni inesorabilmente sconsolanti. A guidarlo sarà l’ex capo dell’Intelligence locale Masoom Stanikzai, coadiuvato da un nucleo che potremmo definire tecnico-burocratico: Ayoub Ansari, ex comandante della polizia di Herat, Nader Nadery, della Commissione servizio civile, Matin Bek, capo del Direttorato della governance locale, Enayatullah Baligh, membro del Consiglio degli Ulema, Rasoul Talib, consulente del presidente (ma quale? si presume Ghani). Segue un nucleo  di politici. Coloro che hanno rivestito cariche ufficiali: l’ex ministro dell’Economia Hadi Arghandiwal, l’ex degli Esteri Ahmad Moqbel, il già deputato Hafiz Mansour. Quindi i rappresentanti dei più consistenti partiti islamisti, e fondamentalisti: Kalimullah Naqibi per Jamiat- e Islami (il partito che fu dei defunti warlord Rabbani e Massud), Amin Karim per l’Hizb-e Islami  (la formazione del “macellaio” di Kabul Hekmatyar, vivente), più un membro dell’ala giovanile del Jamiat-e Islami, tal Zainab Muahed. Non è finita. Poiché l’occhio dei Signori della guerra osserva sempre le evoluzioni dell’assetto nazionale, nell’assise è presente una coppia di figlioli d’arme: Khalid Noor, rampollo di Atta Mohammed, già governatore di Balkh e mujaheddin tajiko della vecchia guardia, vicino al comandante Massud. E Batur Dostum, figlio d’un altro papà sanguinario, Abdul Rashid, tuttora vicepresidente di Ghani. Per non farsi mancare nulla il vecchio Afghanistan trova un posto ad Amin Ahmadi, che è docente universitario, ma assai prossimo all’attuale antipresidente Abdullah Abdullah.

Giriamo pagina, si fa per dire, e vediamo qualche presenza femminile. Un’altra docente universitaria è Shahla Farid. Di lei non si sa molto. L’emittente di Kabul ne ha riportato una dichiarazione in cui afferma di non aver mai assistito a un incontro coi talebani, e di non conoscerli, assicura comunque che assieme alle altre donne della delegazione farà la sua parte. Più note sono invece Habiba Sarabi e Zakia Wardak. La prima è una veterana, deputata e capo dell’Alto Consiglio di pace, un’ematologa di etnia hazara dedicatasi alla politica già nel sedicente “nuovo corso” post talebano. Dopo aver ricoperto l’incarico di ministro degli Affari femminili, nel 2005 Karzai la nominò governatrice della provincia di Bamiyan, un’area del Paese che continua a essere fra le più povere e con elevato tasso di analfabetismo. Zakia Wardak, presidente della ‘Società afghana delle donne ingegnere’ è figlia del generale Ali Khan Wardak che ha combattuto contro l’Armata Rossa. Il fratello Zalmai egualmente generale, considerato un brillante analista strategico, fu assassinato. Anche il primo marito di Zakia era un militare e aveva combattuto contro i sovietici, morì in un incidente stradale. Con l’ultimo marito, Serajuddin, sempre del gruppo tribale Wardak da cui la famiglia di Zakia prende il nome, s’impegnò nel progettare orfanotrofi, almeno così recita la biografia che ha diffuso, ma maggiore enfasi la riveste la sua creatura, la Sawec (Society Afghan Women Engineering Construction) che riceve appalti direttamente dall’Esercito statunitense. Del resto la formazione di questa “donna manager” è prossima agli States. Dopo gli studi presso il Politecnico di Kabul, si è specializzata al Montgomery College in Maryland, instradando anche sua figlia Mariam, oggi trentaquattrenne, prima presso l’ambasciata statunitense a Kabul quindi verso il mistero che si occupa di narcotici. Forte di queste premesse nel 2018 Zakia s’è presentata per le elezioni alla Wolesi Jirga, la Camera bassa del Parlamento afghano.

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