venerdì 25 agosto 2017

Un gesto che non lava la coscienza del potere

Lo stesso fotografo (Angelo Carconi dell’Ansa) che ha immortalato la scena, in assoluto rara ma reale, l’ha commentata così sulle pagine de La Stampa: Non so dire se il gesto del poliziotto fosse improvvisato o studiato. Però dalla distanza da cui ho scattato è sembrato un momento intenso: un poliziotto che ha ordine di sgomberare la piazza e una donna che vuole riappropriarsene condividono un momento di semplice umanità”. Un gesto delicato, certo. Quelle mani che stringono il volto per consolarlo dell’ingiustizia che sta subendo. Un’ingiustizia sedimentata da anni, se si scava nella vicenda di quegli eritrei e somali occupanti “abusivi” di uno stabile per far fronte all’esigenza primaria di avere un tetto, non da migranti clandestini o regolari. Ma da rifugiati, riconosciuti tali dalla Repubblica Italiana e da questa teoricamente tutelati. Teoricamente. Perché secondo quanto denuncia il rappresentante dell’Unhcr per il sud d’Europa “In quattro anni di occupazione (di uno stabile di proprietà della Banca San Paolo di Torino presso la stazione Termini di Roma) è mancata una strategia concreta di intervento sociale e abitativo. E le alternative proposte nel corso del sit-in di protesta in piazza, oltre a essere tardive risultavano inadeguate, poiché non avrebbero garantito una sistemazione a tutte le persone”.  Per inerzia della giunta Marino (giugno 2013 - ottobre 2015), del commissario prefettizio Tronca (novembre 2015 - giugno 2016), della giunta Raggi (giugno 2016 e tuttora in carica) si è arrivati, prima allo sgombero senza alternative per tutti, poi alla repressione della protesta che stazionava in una piazza centrale, seppur non monumentale di Roma. L’abbraccio comprensivo del poliziotto, decisamente migliore della foga con cui un funzionario della polizia di Stato incitava i sottoposti a spaccare le braccia a chi s’opponeva alla violenza tirando sassi, non è la faccia buona del dualismo repressivo.

Anche lo stereotipo cinematografico dell’agente buono che offre la sigaretta al fermato dopo che il collega cattivo gli ha prodotto qualche ecchimosi è trito, e comunque conferma che i due ricoprono ruoli preconfezionati per un fine. Oltre il gesto, che ci piace credere personale e sincero, del celerino, già definito dalla canea politica, buonista, c’è dell’altro. L’ignavo disegno della politica centrale e periferica di non fare nulla o quasi, per risolvere i problemi che s’affacciano e si accumulano. La volontà di applicare una fermezza senza senso, che non disdegna durezza e violenza rivolte ai deboli, accusati, come in questo caso, di trasgressione. Con l’aggiunta di lavare uomini, donne, bambini con gli idranti per levarseli di torno. Eliminarli da un arredo urbano che, pur nell’enfasi di RomaCapitale, resta polveroso e abbandonato. E in questa capitale che anche in centro mostra il medesimo abbandono delle periferie abbandonate a sé, politici e amministratori vogliono cancellare anche l’ombra delle presenze critiche. Di chi è costretto a ricordargli ciò che non fanno, a cui rispondono facendo la guerra dell’acqua o dei lacrimogeni o delle botte. Sono i compiti dei tutori dell’Ordine. E già il proprio sindacato ne difende la pratica della forza che attiene al ruolo e ai regolamenti. E’ sempre stato così. La carezza al posto del manganello resta un gesto, che rende orgoglioso il figlio dell’agente, ma non muta un sistema. Soprattutto non può celare la via intrapresa dall’attuale governo e dal nuovo ministro degli Interni, forte e convinto del suo senso della forza. Con cui schiacciare sul nascere ogni protesta, anche la più legittima che evidenzia l’ingiustizia in atto. Il dissenso, la diversità di condizione e di pensiero semplicemente non devono esistere, bisogna cancellarli dalla capitale o da altre nostre città avvinte e vinte dalla colpevole inerzia di chi dovrebbe guidarle.  Lorsignori spazzano via con l’acqua i problemi che non risolvono, sperando che anneghino.

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