martedì 8 marzo 2016

Unione Europea: profughi nel bazar turco

Davutoğlu raddoppia la posta. Chiede sei miliardi di euro per gestire i campi profughi in casa, privilegiando siriani e iracheni e accettando uno scampolo di afghani. Ma lancia anche l’ipotesi dell’uno a uno: per ogni migrante clandestino riportato dalle isole dell’Egeo in Turchia, un rifugiato regolarizzato nelle strutture d’accoglienza che il suo governo predispone dovrà essere smistato fra i 28 membri dell’Unione. Quest’ultimi hanno, ovviamente, umori diversi. Scudi (e muri) alzati non solo col solito Orbán. Allo scambio risultano contrari, per ora, anche l’austriaco Faymann e il belga Michel che chiedono il blocco delle frontiere. Aperture, invece, dalla Merkel disponibile su entrambe le richieste; mentre Renzi fa il democratico e punta il dito sulla repressione della stampa che non può essere tollerata in una nazione con pretese di rapporti con l’Europa e l’ipotesi d’ingresso comunitario. Lui dichiara che non firmerà accordi finché Ankara continuerà a perseguitare la stampa d’opposizione. Vedremo se si tratta solo di pronunciamenti senza seguito. Il premier turco sostiene che la sua proposta è l’unica via che taglia la tratta di persone, cosa improbabile visto che le mafie dei trafficati agiscono, attraverso vari Paesi, su aree amplissime e continueranno ad ammassare carovane di disperati dentro e fuori il confine anatolico.


Piuttosto la Turchia, messa alle strette dal fronte della sicurezza interna e dalla guerra alle sue porte, con la mossa di sobbarcarsi i dolori europei sulla migrazione rientra in un consesso diplomatico col ceto politico del vecchio continente, che non ama e di cui non si fida, ma di cui non può fare a meno. Aperta la trattativa su un tema, che il sornione primo ministro sa bene essere una spina nel fianco molle della Ue, Davutoğlu cala sul tavolo altre richieste: dal 1° giugno porte aperte per i suoi compatrioti su ogni versante occidentale. Alla Merkel, a Tusk, a Junker il compito d’addolcire la pillola a coloro che non vogliono sentir parlare neppure di Shengen. Ma la condizione in cui si trovano in pieno inverno 13.000 profughi a Idomeni, con le crescenti scaramucce sul confine macedone, il quantitativo di sbarchi del mese di gennaio che ha comunque condotto in territorio ellenico 60.000 persone, nonostante le intemperie, le tempeste, il fuocoammare, le centinaia di migliaia attese già dopo Pasqua rendono la questione profughi un’emergenza al pari dei conflitti che destabilizzano Medio Oriente e la sponda mediterranea del Maghreb. L’Europa della finta Unione, dei centralismi ed egoismi, delle furbizie e indecisioni si trova davanti un volpino tutt’altro che sprovveduto. L’uomo di fiducia di lungo corso del ‘sultano’ gioca pesante. Per ora è tutto rinviato al 17 marzo. Oltre non si potrà attendere.

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