lunedì 14 marzo 2016

Ankara, l’autobomba che viaggia in Medio Oriente

La normalità dell’autobomba - La Turchia che attacca e subisce, che conta vari nemici e vorrebbe aumentarne numero ed efficacia, la Turchia dell’establishment che cerca di normalizzare il terrorismo imparando a conviverci, che afferma di combatterlo senza far comprendere se riuscirà nell’intento o se ne servirà per governare in emergenza, rifà i conti con l’inquietante presenza dell’autobomba. Che come il 17 febbraio scorso s’acquatta fra i Palazzi del comando ma non li squassa, colpisce la Turchia delle gente comune, di ogni tendenza politica e di ogni etnìa, quella che s’accalca alle fermate dei bus o passa per strada. Questa Turchia guarda attonita, magari piange e si dispera, ma riprende la marcia. C’è distacco e pacatezza nell’intervento degli addetti all’emergenza (polizia, vigili del fuoco, personale sanitario) che pure hanno l’ingrato compito di dover mettere mani e occhi dove più straziante è il passaggio della morte, sopportata come si trattasse di campi di battaglia. Il ruolo impone comportamenti che, qualora ci fosse e sicuramente c’è, non devono far trasparire l’emozione.
Menti e artificieri - Sembra che non solo i professionisti dell’emergenza accettino l’autobomba con acquisito fatalismo. La società turca, dopo una corsa sfrenata alla trasformazione, si trova a dover vivere l’orizzonte dell’incertezza inzuppato nel sangue, ossessionato dalla paura come se si trattasse dell’unica via percorribile. La vita accanto alla bomba sembra appartenere al popolo turco come la guerra quarantennale appartiene all’afghano dei nostri giorni. Anche l’acuto politologo non può dire con certezza quanto l’attentato di ieri sia l’arma scelta da Erdoğan per rilanciare il suo percorso securitario, lo strumento dei nemici da lui indicati nel Pkk, quello della concorrenza islamica esterna (il Daesh) e magari interna (il movimento Hizmet represso anch’esso, ma non per questo sulla via dello scontro armato). Non ci sarebbe da stupirsi se anche quest’ultime accuse da parte governativa si materializzassero. Il gioco occulto e sporco è l’altra faccia del percorso del mistero solitamente praticato dalle Intelligence; che talune azioni possano essere orchestrate con fini pluriarticolati è la parte meno segreta dei Servizi. 

Convivere con la morte - Ma non è tanto questo su cui ci soffermiamo, soprattutto in assenza di chiare prove. Parliamo della normalizzazione dell’emergenza che porta acqua al fronte degli uomini forti: islamici vestiti da borghesi, in divisa o in tunica da imam. Non è l’immagine bensì la sostanza di pensieri, parole e fatti a caratterizzare i loro piani. I progetti di scontro passano nelle pratiche dell’Islam politico che, con l’attuale presidente, ha illuso una nazione parlando di Turchia modernizzata ma la fa vivere nell’incubo dei tempi bui di golpe e guerra civile, etnica e politica, contro kurdi e opposizione. Oppure nella restaurazione offerta dal generale musulmano al Sisi che, come ogni militare di Maghreb o Mashreq con cui l’Occidente ha stabilito per decenni i propri affari, risulta funzionale al neo colonialismo di ritorno e alle geo strategie future. E ancora nella furia iconoclasta e sanguinaria dei miliziani di Al Baghdadi che uccidono per sé e Allah, fuori da ogni Corano, manovrati dal sedicente Califfo e dai sempre presenti agenti infiltrati. Così i guerrafondai d’Occidente, la loro economia delle armi, l’armata dell’economia globale possono continuare e scatenare nuove guerre di civiltà. Per il popolo, che deve imparare a vivere con la morte e regalarle anzitempo l’esistenza. 


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